Il secolo cinese sarà breve: La crisi demografica potrebbe mettere fine al predominio cinese prima ancora che inizi


Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha costruito il proprio sogno di predominio mondiale cinese su due punti: un’economia in costante crescita  e il controllo sociale. Ma si presenta ora un problema demografico: una popolazione che invecchia troppo in fretta, un calo importante delle nascite, e – fatto senza precedenti – una “ribellione silenziosa” che traspare dal rifiuto di assolvere al “dovere patriottico” di fare figli. Come si è arrivati a questo punto? Perché le giovani generazioni cinesi, cresciute sotto il controllo pervasivo del PCC, rifiutano di mettere al mondo nuovi cittadini? E cosa significa questa crisi per le ambizioni di predominio globale della Cina?


Nel 1979, la Cina si trovava in una situazione tale per cui il livello economico non poteva garantire la sussistenza di una popolazione in continua crescita. La soluzione? La politica del figlio unico.

Ebbene, oggi le conseguenze di quella scelta, probabilmente vista come inevitabile in quel momento, stanno presentando un conto altrettanto insostenibile. Nel 2022 la popolazione cinese ha iniziato a calare: 1,41 miliardi, con l’India pronta a sorpassarla.

Nel 2050, un cinese su tre avrà più di 60 anni. Un paese una volta giovane, vigoroso, in marcia verso il futuro, sarà una nazione di anziani. Ma non è solo una questione di numeri. Lo squilibrio di genere complica ulteriormente le cose: per decenni, la preferenza culturale per i figli maschi ha portato a milioni di aborti selettivi, acuendo ulteriormente il problema non solo dal punto di vista numerico. Ma è noto che un paese senza figli è un paese senza futuro.

Il popolo contro il Partito: il rifiuto di fare figli come ribellione silenziosa

Il PCC, sempre pragmatico, ha cambiato rotta. Prima la politica del secondo figlio, poi quella del terzo, e ora incentivi economici per le famiglie numerose. Queste misure però non hanno ancora impresso l’inversione di tendenza necessaria.

Le giovani generazioni cinesi, soprattutto le donne, non sono interessate. Carriera, libertà personale, e qualità della vita sono diventate priorità in un paese che per decenni ha chiesto sacrifici collettivi in nome del progresso. Non fare figli, in questo contesto, è una forma di ribellione.

Un’economia sotto pressione

La crisi demografica non è un problema isolato. Essa alimenta e amplifica una serie di problemi economici che stanno portando il modello cinese al limite.

L’invecchiamento della popolazione sta riducendo la forza lavoro, aumentando la pressione sul sistema previdenziale e rallentando la crescita economica. A questo si aggiunge il debito interno, alimentato da anni di investimenti poco sostenibili nel settore immobiliare e nelle infrastrutture.

La Belt and Road Initiative (BRI), il grande progetto infrastrutturale globale della Cina, sta anch’essa mostrando i suoi limiti. Molti dei progetti infrastrutturali collegati sono stati sospesi o abbandonati nel corso dell’ultimo decennio, segno che la Cina sta faticando a mantenere le sue ambizioni globali attraverso tali strumenti.

Ma il problema a questo punto è il mantenimento della coesione sociale tra popolo e Partito. Dopo decenni di crescita vertiginosa, il rallentamento economico sta forse erodendo la fiducia della popolazione nella capacità di guida del PCC, portando, anche in una società apparentemente impermeabile e monolitica a tensioni sociali a bassa intensità e a indirette forme di contestazione.

Taiwan e la tentazione della forza

Fino al 2020 era plausibile che nei piani del PCC ci fosse la riunificazione di Taiwan in modo pacifico attraverso il conseguimento di una leadership mondiale economica e tecnologica che rendesse inevitabile se non quasi conveniente per la “provincia ribelle” il ritorno alla Madre Patria.

Le difficoltà della Belt and Road Initiative (BRI) a trainare il sorpasso economico nei confronti degli Stati Uniti, acuitesi con lo shock economico del periodo Covid,  e la crisi demografica che non permette ad una adeguata domanda interna di sostenere la crescita economica che mette in evidenza elementi di insofferenza sociale interna, possono aver indotto il PCC a rivalutare l’uso della forza per raggiungere l’obiettivo del ricongiungimento con Taiwan entro la metà del secolo, ovvero al centenario dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 2049

In questa ottica vanno letti sia l’intensificarsi delle prove di forza intorno all’isola che altre fonti da cui emerge come la Cina stia mobilitando risorse militari e civili per prepararsi a un eventuale conflitto. .

Il Mandato Celeste si ritira?

Nella cultura cinese, il Mandato Celeste è l’idea che un sovrano governi con il favore del cielo, ma che questo favore possa essere revocato in caso di una gestione non adeguata e le prove di questa revoca spesso erano eventi naturali quali terremoti, inondazioni, carestie.

Il PCC si trova in una posizione nuova e in parte inaspettatamente precaria. La sua capacità di controllare la narrazione interna è messa in discussione da una popolazione sempre più consapevole e critica e il rifiuto della popolazione di fare figli, nonostante le agevolazioni e sollecitazioni del PCC, potrebbe rappresentare una nuova forma di revoca del Mandato Celeste a partire dal basso.

In conclusione il “secolo cinese” doveva essere un’era di predominio globale raggiunto attraverso un costante e inesorabile progresso economico e tecnologico, ma il sogno sembra sempre più fragile. La crisi demografica, la ribellione silenziosa del popolo e le sfide economiche stanno mettendo a nudo i limiti del modello cinese.

La domanda è: cosa succederà ora? La Cina riuscirà, come dimostrato nel corso della sua storia millenaria, a soffrire per  superare queste sfide, o il Mandato Celeste si ritirerà definitivamente e quindi come nel diagramma cinese del Yin e Yang, la nuova era nel suo inizio porta con sé il germe stesso della propria nemesi?

Gianluca Vitturi

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