Se fino a poco tempo fa si pensava che Salvini fosse uscito definitivamente o quasi dalla scena politica italiana, dopo i risultati delle elezioni in Umbria del 27 ottobre, sarà necessario fare qualche rivalutazione in merito. Lui è ancora lì e, passata la finta tregua, è pronto a colpire. Il suo asso nella manica? Le elezioni regionali della regione Umbria.
Il 36,9 per cento per il Presidente del Carroccio e il crollo del movimento 5 stelle al 7,4 per cento sono i dati più significativi, rilevabili da questo spoglio elettorale che ha visto inoltre, l’exploit del partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni il quale, raggiungendo i 10,4 punti, doppia Forza Italia ferma al 5,5 per cento. Un altro elemento non trascurabile è che dopo ben cinquanta anni l’Umbria si sia confermata a maggioranza leghista perdendo la sua qualifica di regione storicamente rossa. Il centro destra, raggiungendo in coalizione una percentuale di ben 57,5 per cento, batte la neo coalizione PD/M5S indietro di circa 22 punti rispetto al centro destra con uno score di soli 36,9 per cento.
Con la vittoria dell’avvocato Donatella Tesei, cassazionista ed ex sindaco di Montefalco eletta in Senato con la Lega nel 2018, si apre una nuova stagione politica non solo per l’Umbria, ma anche per il governo giallorosso che potrebbe risentire degli esiti negativi del voto per il movimento. Salvini infatti, non ha perso tempo ad esprimere il suo entusiasmo sottolineando come, con queste elezioni, la Lega si confermi primo partito d’Italia e che la coalizione formatasi a Roma tra movimento e PD non abbia più alcun avvenire. Sulla stessa linea è anche Giorgia Meloni la quale commenta l’elevata percentuale raggiunta dalla coalizione di centro destra invitando il governo a prendere atto della volontà del popolo italiano e il presidente Conte a rassegnare le sue dimissioni.
Quanto bisogna considerare le parole dei due maggiori leaders della destra italiana attendibili? Sicuramente i risultati di queste votazioni non devono essere trascurati, ma non possono giustificare una messa in discussione della stabilità del governo. E’ evidente come l’esperienza del patto civico PD/M5S non sia stata positiva. Ad ammetterlo è lo stesso Di Maio il quale ha confermato come l’esperienza non abbia raggiunto l’esito previsto. Tuttavia, è necessario prendere in conto che ad influire sul crollo del consenso popolare verso il M5S non sia stata questa esperienza di collaborazione a livello locale, quanto piuttosto le recenti vicende politiche che hanno visto il movimento tradire le premesse ideologiche degli inizi creando un governo con quel partito da sempre accusato di essere la piaga del sistema italiano. Il movimento quindi, si scontra con la sua natura camaleontica e inizia a fare i conti con l’evidente incompetenza tecnica di molti dei suoi portavoce.
Eppure, malgrado le difficoltà che vive il movimento e la batosta elettorale che lo vede messo sotto scacco proprio da quello che solo pochi mesi fa era il suo più caro alleato, questo non può giustificare un allontanamento del Movimento dalla coalizione o addirittura una rottura di questa. E questo sia strategicamente parlando, in quanto il movimento ha bisogno, ora più che mai, proprio del suo rivale storico per rimanere nel panorama politico, sia perché le elezioni sarebbero giustificate solo se il governo non avesse più la maggioranza parlamentare. Lo Stato italiano, infatti, è una Repubblica democratica con forma di governo parlamentare, il che implica, in accordo con gli articoli 92 e seguenti del testo Costituzionale, che sia il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del consiglio dei ministri. Tale nomina avviene subito dopo la fase preparatoria delle consultazioni nel corso della quale il Presidente della Repubblica individua il potenziale Presidente del Consiglio che potrà ottenere la maggioranza parlamentare. Tale meccanismo viene attivato ogni volta che si determini una crisi di governo per il venir meno del rapporto di fiducia o per le dimissioni del Governo in carica.
Da prendere in considerazione, in questa breve analisi, è inoltre, il fatto che l’Umbria rappresenti solo il 2 per cento della popolazione italiana. Utilizzare, quindi, questa vittoria come argomento politico da parte dell’attuale minoranza di governo non è soltanto privo, allo stato attuale, di un’evoluzione tangibile, considerate le dichiarazioni di Conte il quale ha tenuto a sottolineare come questo esito non minerà la tenuta del governo, ma anche altamente rischioso perché capace di instillare nella mente degli elettori idee secondo le quali ci sarebbe una fantomatica violazione dei principi democratici.
Queste considerazioni comuni tra i cittadini non prendono in conto che il nostro sistema repubblicano sia stato concepito dai padri costituenti proprio per proteggere quei principi democratici e inviolabili indicati nella prima parte del testo costituzionale, frutto del lungo percorso storico che permise all’Italia di rinascere dopo il buio periodo del ventennio. Eppure, può stupire come la coalizione di centro destra abbia già recuperato l’esito elettorale favorevole per fomentare, ancora una volta, quel clima di odio e di incertezza che anima da qualche tempo il nostro paese. Di fronte a noi abbiamo forse un nuovo panorama politico dove la demagogia reazionaria del catch all party di Grillo si incattivisce e diventa un’arma nelle mani di un rinato centro destra che sembra essere simile a qualcosa che la nostra storia ha già conosciuto.
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