Il Gruppo di Visegrad costituisce un’alleanza tra alcuni paesi UE dell’Europa orientale diretta a consentire una forte tutela dei propri interessi. Nel corso degli anni si è evoluta, per quanto riguarda i suoi obiettivi, ma ha sempre mantenuto una notevole coesione per quanto riguarda la sua azione concreta. Ciò è stato confermato dalla recente crisi del Covid-19 e, probabilmente, lo sarà anche per le sfide future.
Il Gruppo di Visegrad è un accordo tra quattro paesi orientali dell’Unione Europea. Il nome di tale intesa deriva da un Trattato firmato nella cittadina ungherese di Visegrad, il 15 febbraio 1991. I firmatari originari erano la Polonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia, quest’ultimo Stato si è poi scisso in Repubblica Ceca e Slovacchia che, assieme ai primi due citati, costituiscono i componenti attuali dell’intesa.
Scopo originario di tale accordo era cercare di determinare un orientamento comune tra i quattro paesi per gestire le trattative riguardanti il loro ingresso nell’UE, cosa che poi effettivamente avvenne il 1° maggio 2004.
Al momento della loro entrata nell’Unione era presente, in tali Stati, un diffuso e profondo entusiasmo per il risultato appena raggiunto. Tuttavia tale sentimento venne ben presto sostituito da un notevole scetticismo nei confronti delle istituzioni di Bruxelles.
Questo cambio d’umore non è certo da attribuire ai consistenti aiuti economici forniti loro dall’UE, bensì a una sensazione, molto diffusa a livello di opinione pubblica, di progressiva perdita della propria sovranità nazionale. In ciò ha giocato un ruolo determinante il ricordo, estremamente recente, di sottomissione all’Unione Sovietica.
La presidenza del Gruppo di Visegrad dura un anno ed è a rotazione tra i paesi membri, chi presiede ospita anche gli incontri. Le sue finalità, una volta raggiunto lo scopo originario dell’ingresso nell’UE, si sono incentrate nella cooperazione in materia di difesa, investimenti, infrastrutture, politica estera, ricerca tecnologica e immigrazione.
Un settore nel quale la collaborazione ha dato risultati decisamente positivi è il primo di quelli appena citati, vale a dire la difesa. Qui è stato creato un sistema di collaborazione permanente che prevede esercitazioni congiunte e condivisione d’investimenti in tale materia. Nel 2016 i quattro paesi membri hanno creato il “Visegrad Battlegroup”, si tratta di una forza d’intervento costituita da oltre 3000 militari. Sua funzione è operare all’interno della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) dell’UE.
Il settore operativo per il quale il Gruppo di Visegrad è maggiormente conosciuto è certamente l’immigrazione. In tale ambito i paesi membri sono estremamente coesi nell’adottare politiche restrittive riguardanti l’arrivo d’immigrati, in particolar modo musulmani.
Nell’estate del 2015 quest’ostilità all’arrivo dei migranti assume un ruolo pratico fondamentale. Difatti in quel periodo, per bloccare l’arrivo di profughi, in fuga dai conflitti in Siria e Iraq e diretti verso il Centro Nord dell’Europa, il Primo Ministro ungherese Orban decide di costituire un’impenetrabile barriera ai confini con la Serbia, costituita da filo spinato, guardie armate e sensori elettronici.
Tale orientamento di fondo è stato mantenuto anche successivamente. Basti pensare che, il 7 marzo 2017, il Parlamento magiaro approvasse una proposta di legge governativa che prevedeva la costituzione di campi d’internamento, alle frontiere, per i richiedenti asilo. Tale disposizione fu duramente criticata dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ma anche dall’UE.
Va ricordato che il governo ungherese, il più esposto per ragioni geografiche al problema chi fugge dal Medio Oriente, ha sempre goduto, in ordine all’applicazione di misure restrittive, dell’appoggio incondizionato degli altri tre membri del Gruppo.
Il 5 giugno del 2018 si tenne in Lussemburgo una riunione dei Ministri dell’Interno dei paesi UE avente per oggetto la riforma, in senso meno rigido, della disciplina UE del diritto d’asilo contenuta nel Trattato di Dublino. In tale occasione i rappresentanti dei paesi Visegrad hanno avuto un ruolo decisivo nell’impedire l’approvazione di questo progetto. In questa sede anche i paesi che sostenevano la riforma del citato Trattato hanno preso atto del fatto che, con la forte opposizione dei quattro paesi Visegrad, una riforma che rendesse più facile da ottenere il diritto d’asilo era impossibile.
Si cercò poi di superare tale spaccatura organizzando un vertice UE, poche settimane dopo, incentrato sempre sulla riforma del Trattato di Dublino, ma anche tale vertice fallì poiché dovette subire il boicottaggio sempre degli Stati Visegrad.
Nel corso degli anni il Gruppo di Visegrad si è sempre contraddistinto per il fatto di rifiutare fermamente la quota di profughi che, dalla normativa UE, è imposta ai paesi membri. Ciò nonostante, i componenti di Visegrad hanno continuato ad essere percettori netti di fondi dell’Unione.
Il 2 aprile 2020, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha condannato Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria per non aver accettato la propria quota di profughi in conformità al diritto UE. In particolare è stata negata la sussistenza di motivazioni inerenti ordine pubblico e la sicurezza interna che, nei casi specifici, può giustificare il rifiuto di accoglimento dei profughi. Ora i tre paesi dovranno adeguarsi.
Tale ostilità al fenomeno migratorio ha avuto modo di manifestarsi anche nella recente crisi sanitaria determinata dal virus Covid-19. Il già citato Premier magiaro Orban, tuttora al potere, in un primo momento ha vietato l’arrivo nelle zone di transito per chi intende chiedere asilo nell’UE, poi ha fatto approvare dal Parlamento una legge che gli attribuisce pieni poteri e che gli consente di governare con decreti legge. Ciò con il forte sostegno degli altri tre membri del Gruppo.
Tutto lascia pensare che una volta terminata la crisi sanitaria determinata dal Covid-19, i paesi del Gruppo continueranno nella loro azione coesa, in particolare per quanto riguarda l’ostilità a politiche di carattere permissivo, adottate dall’UE, per l’arrivo dei migranti.
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