Un intervento persuasivo in RDC per imporre la pace?

Dopo avere rifiutato di lasciare la carica a fine del suo mandato nel 2016, il presidente Kabila è riuscito ad ottenere una moratoria di un anno per preparare la transizione, grazie alla mediazione della chiesa cattolica. Questi sforzi comprendono la formazione di un governo di unità sotto la guida di membri di spicco dei partiti opponenti a Kabila, tra cui lo storico Etienne Tshisekedi, morto sfortunatamente la scorsa settimana, a 84 anni.


Intanto, si prospetta che il governo di unità e gestione della crisi politica in RDC verrà  insediato e forse guidato dal figlio dello storico Etienne, Felix Tshisekedi, che sarà anche molto probabilmente il presidente del partito UDPS (Unione per la democrazia e progresso sociale) fondato negli anni Ottanta dal padre, ai tempi di Mobutu. Questo governo, quando ci sarà, avrà come compito principale la preparazione delle elezioni e garantire una transizione pacifica di potere tra Kabila e i nuovi leader del paese.

Tuttavia, non si esclude la possibilità di un deragliamento nel processo di transizione politica e trasferta di potere tra Kabila e opponenti, oppure tra i successori indicati dal primo e l’intera opposizione nella Repubblica democratica del Congo (RDC), ciò se teniamo in buon conto la storia politica di questo paese. Allora, forse, per garantire una normale e pacifica transizione, non si dovrebbe invece escludere un intervento persuasivo da parte della Conferenza internazionale per la regione dei grandi laghi (CIRGL), l’organizzazione che ha come scopo il mantenimento della pace e sicurezza oltre che lo sviluppo nella regione dei grandi laghi, in cui si trova appunto il RDC.

Che probabilità c’è che venga posto in essere un intervento di persuasione e contenimento in seno alla CIRGL contro coloro che sono contrari alla pacifica transizione congolese?

Da un lato, un eventuale intervento (presumo militare) della CIRGL in Congo dipenderà non solo dal consenso tra gli stati membri, che tra l’altro sarebbe basato sul principio del coinvolgimento dei 12 Stati negli affari di natura regionale, ma anche sul meccanismo di sorveglianza internazionale sancito dagli accordi di Addis Abeba a febbraio del 2013.

D’altronde, a seconda dei calcoli geopolitici di ciascuno dei dodici stati membri, si costituirebbero via  via delle correnti favorevole contrarie in seno alla CIRGL. Ad esempio, nell’ambito del combattente contro i ribelli congolesi, c’è stato un consenso soprattutto tra gli stati (Angola, Rdc, Congo, Ruanda e Uganda) presenti al mini-vertice di Luanda del 25 marzo 2014, i quali hanno deciso lì un approccio globale anti ribelli.

Tuttavia, se a livello della CIRGL pare esserci il consenso, che ritengo non effettivo (poiché potrebbe saltare a seconda degli interessi individuali degli Stati e finché tal intervento non verrà messo in atto), il vero problema potrebbe invece essere la reazione della comunità internazionale ad una presa d’azione regionale, da parte della  CIRGL stessa, in RDC.

Ovvero, ad esempio, in seguito alla conferenza di Luanda del 25 marzo 2014, e nonostante l’esistenza delle condizioni legittime per mettere in essere quell’“approccio globale anti ribelli”, il consiglio di sicurezza ONU aveva approvato una nuova risoluzione: la risoluzione 2147(2014), del 28 marzo, la quale aveva rinnovato il mandato della MONUSCO (Missione ONU per la stabilizzazione del RDC) per un altro anno. Quel rinnovo della MONUSCO (con una brigata d’intervento apposita), all’indomani del vertice di Luanda, significava forse un “veto” ad una eventuale missione “di persuasione” della CIRGL in Congo, e non un vero e proprio “approccio globale”. Oggi, a tre anni di distanza, non si escluderebbe un atteggiamento simile da parte della comunità internazionale.

Tuttavia, ipotizzando un intervento persuasivo effettivo, quale ruolo la presidenza può assumere, oggi, per il garante della transizione pacifica in RDC, nell’anno delle sue proprie elezioni?

L’Angola, in quanto presidente in carica dell’organizzazione, non deve far altro che  proporre agli stati membri delle azioni ritenute indispensabili alla pacificazione del RDC, in base ai documenti e regole che reggono la stessa CIRGL, bensì degli accordi già sanciti a livello regionale e multilaterale. L’Angola, più che mai, nell’anno delle sue elezioni, vuole un RDC pacifico e in grado di tutelare la sua totale integrità territoriale.

Invece, un altro intervento per persuadere il Kabila e suo Entourage a cedere il potere (sempre ipotizzando un rifiuto ulteriore ai anni degli accordi di pace di dicembre 2016), all’infuori della CIRGL e della MONUSCO, potrebbe significare una gravosa ed eclatante violazione della sovranità di Kinshasa, e di conseguenza spingere Kabila a mantenersi ancora in carica, per onore personale e per la difesa legittima degli interessi dei congolesi, soprattutto quelli che lo appoggiano. D’altronde, potrebbe anche rivelarsi determinante per persuaderlo ad abbandonare davvero il potere, giusto come è appena successo al presidente Yahya Jammeh, in Gambia, che è stato costretto ad abbandonare il potere a seguito di una minaccia della rimozione per mezzo di un intervento militare della CEDEAO, esiliandosi posteriormente in Guinea Equatoriale.

Detto questo, un intervento di persuasione in RDC succederà se e solo se c’è un consenso in seno alla CIRGL, ma anche della SADC, CEEAC e della stessa UA, in concorso con la comunità internazionale, impresa non del tutto realizzabile, in parte per interessi divergenti tra Stati membri, in parte perché un attore cruciale in queste organizzazioni è impegnato a garantire una successione in seno al partito MPLA dopo quaranta della leadership del Presidente dos Santos, in Angola.

Per ora, la transizione pare essere nelle mani dei propri congolesi. A seconda del cambiamento della congiuntura interna, regionale e esterna allora forse si potrà pensare a tale persuasione dall’esterno, in un ambiente internazionale davvero pericolante.

Dott. Issau Agostinho

 


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