God save the Brexit?

Siamo a 41 anni dal primo referendum Britannico che nel 1975 ha fatto tremare i rapporti fra Comunità Europea e il Regno Unito. Oggi la situazione non è profondamente diversa: ancora un’altra volta il Regno Unito chiama la cittadinanza alle urne questo giovedì 23 giugno 2016, per finalmente decidere se rimanere o abbandonare per sempre l’Unione Europea.


Per capire le motivazione di una BREXIT oggi dobbiamo rivedere alcuni antecedenti storici. Il Regno unito integra l’Unione Europea nel 1973, negoziando clausole e regole specifiche e individuali per ogni argomento ed i trattati Europei.

Una delle prime ombre di contrasto Regno Unito-Comunita Economica Europea risalgono al 26 aprile 1975, quando ebbe luogo il primo referendum sulla permanenza del Regno Unito nelle istituzioni comunitarie europee. Il primo referendum ha favorito la permanenza in Europa comunitaria, ma bisogna chiarire che quella volta, con un tasso di affluenza del 64,5 % alle urne britanniche, i 17 milioni (67,2) di britannici votarono per il rimanere, mentre 8 milioni (32,8) per uscirne.

Nel 1975 il Labour party favorisce e promuove una immediata uscita dalla Comunità europea, ma il referendum fece capire che il Regno unito si sarebbe mantenuto un attore importante nell’integrazione. Tuttavia, nel 1983 Labour party ripropone le stesse pretese degli anni ‘70: to Leave! Ma il fenomeno Thatcher riuscì a mediare con il partito ormai all’opposizione, grazie anche alla sua popolarità in seguito alla vittoriosa guerra contro l’Argentina per le isole falklands nel 1983. Con il passare del tempo i Labour assunsero definitivamente sia la coscienza sia la matrice ideologica pro-europeista.

Ma le ombre del primo referendum saranno ancora una volta evocate nel Regno unito quando giovedì 23 si aprirà un nuovo dibattito, ma comunque definitivo, tra Leave or Remain (uscire o rimanere).

I principali sostenitori odierni di questo referendum e della sua uscita definitiva dall’Unione europea sono i membri del partito fondato nel 1993 : UK independence party, noto come UKIP, un partito di matrice anti-federalista, anti-establishment, con il populismo sia di destra sia di sinistra, ed euroscettico.

L’UKIP gode di una popolarità moderata della cittadinanza Britannica, perché promuove con chiarezza e forza i suo ideali, in un momento in cui le democrazie europee si vedono debilitate con le nuove riconquiste delle estreme destre in Europa che risvegliano i vecchi nazionalismi, principalmente nell’Europa dell’Est. Il populismo si presenta allora come alternativa diretta ai cambiamenti aspettati dai cittadini. In tutto ciò, senza dimenticare la crisi umanitaria e migratoria che fa risvegliare quel nazionalismo su cui oggi l’UKIP (con Nigel Farage alla testa del partito dal 2010) fonda le campagne del leave. In genere l’estremo conservatorismo Britannico oggi promuove una incondizionata uscita dall’UE, mentre dall’altra parte il premier britannico, David Cameron, leader del partito conservatore(moderato) promuove e sostiene l’idea del remain per un paese per natura euroscettico.

Crisi interna Britannica e una BREXIT?

I 32 kilometri che separano l’Europa continentale dal Regno Unito sembrano ora più che mai distanti; sembra che questi 32 kilometri separino valori britannici e valori europei, ma soprattutto vuol dire che il Regno unito non sta sapendo gestire le diverse crisi tuttora in corso: la crisi umanitaria e dei migranti, la crisi economica interna, le fratture politiche al suo interno.

Le ragioni d’essere di una BREXIT sono diverse; oggi il Regno unito, come altri stati europei, attraversa una crisi politico-istituzionale: Il premier David Cameron e il suo presunto legame allo scandalo dei panama papers affondano la credibilità non solo all’interno del suo partito, ma anche in tutto il Regno unito. Questo evidentemente apre le porte ai movimenti e ai partiti anti-stablisment che si propongono come l’unica alternativa ai cittadini che ormai stanno perdendo la credibilità verso la classe politica.

Una uscita (leave) sarebbe un disastro per l’unificazione Europea, e d’altronde non porterebbe nemmeno la soluzione alla politica economica britannica, perché l’Unione europea favorisce economicamente i suoi membri in un modo meteorico. Non essendo mai stato semplice negoziare con il Regno unito, non sarà altrettanto semplice conciliare una eventuale uscita dall’UE, perché tale significherebbe un fallimento nella comunicazione politica interna al Regno Unito, così come esterna con l’UE, che a quanto pare non riesce a gestire come organizzazione i flussi migratori alla base del nazionalismo di destra in Europa.

Cosa succederà ai 500.000 posti di lavoro nel Regno unito che dipendono direttamente dall’Unione europea?

Le domande sono infinite ma vedere gli antecedenti storici ci permette di capire che il Regno unito nei confronti dell’Europa ha saputo intelligentemente avere le sue distanze da ciò che intendeva diverso ai suoi valori, ha saputo negoziare sempre in un modo sostanzialmente efficiente a bene dei suoi interessi nazionali.

Resta solo distinguere che questo tentativo di uscita non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo; il Regno Unito continuerà ad essere scettico nei confronti dell’UE, sostenendo i suoi valori da potenza insulare, a prescindere dell’exit poll fra leave o remain. L’UE dal accanto suo avrà bisogno di stabilire e attuare una agenda politica ed economica di progresso, soprattutto negli stati membri che si trovano nelle grandi corsie di flussi migratori, per tamponare in qualche modo il risveglio delle vecchie ombre come la BREXIT.

Dott. Ignacio Olguin Barrueto

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