Il dado è tratto

Le elezioni del 2018 si sono appena consumate e con una percentuale di quasi il 60% l’Italia si accinge a vivere ore di attesa, di dibattiti, di proclami ma soprattutto di illusioni.


   Il voto del 4 marzo del 2018 resterà alla storia per essere il voto che mette in mostra nella sua amplitudine lo smarrimento degli ideali del popolo italiano. C’è chi è convinto che siamo di fronte al vero cambiamento, e chi si preoccupa nel segnalare ciò che di “buono” si è fatto negli ultimi anni. C’è chi ha un capro espiatorio, “i migranti e la crisi che hanno provocato” e c’è chi dice dopo 30 anni di essere ancora “il messia”. Di una cosa però siamo certi: il “dado è tratto” e le cose resteranno come sempre.

   Non è che non si voglia dar merito a chi crede che sia l’unica via possibile per trasportare il nostro paese verso un orizzonte di felicità. Ma, tra le tante cose che sono accadute in questi ultimi mesi in maniera costante, ciò che preoccupa è la “deriva fascista” oggi più che mai presente tra i vari soggetti politici che credono possono cambiare l’Italia.

   Molti nel bel mezzo di questa surreale campagna elettorale hanno dato poca importanza ai vari atteggiamenti fascisti presenti in tutto il territorio italiano dove è emersa una voglia di nazionalismo e di intolleranza verso il “diverso” che non si vedeva da anni. Al contrario dell’immagine che il nostro paese ha dato al mondo, cioè l’idea dell’italiano medio tollerante, cattolico, laico e buonista, la verità è tornata a galla facendoci vedere come un paese in cui gli ideali del ventennio non sono mai scomparsi e dove di fronte alla crisi, sia movimenti che attirano a se grandi percentuali di voto, sia movimenti che non registravano neppure lo 0,1% ed erano poco visibili fino ad oggi si legittimano mettendo in mostra qualsiasi atto di violenza senza nascondersi in un falso telone come è stato fatto fino a poco tempo fa. Ciò nonostante sembra che solo gli atti di protesta di un certo settore dell’antifascismo riconducibile ai centri sociali siano stati condannati. Ciò che è certo è che viviamo il consolidarsi di forti tensioni politico-sociali derivate dallo smarrimento totale della forma politica che ha caratterizzato l’Italia repubblicana.

   La crisi o le crisi in generale mettono in evidenza, cosi come affermava Karl Polanyi, circa 70 anni fa, che essere fascisti non significa solamente inneggiare con una svastica o con un fascio littorio ma, indipendentemente dal profilo politico che si abbia, significa trovare un capro espiatorio per poter giustificare il perché della crisi e delle pessime condizioni socioeconomiche in cui si vive. Il nazismo, sin dalla sua creazione, lo fece con gli ebrei, giustificando il fatto che la grave crisi economica che attraversava la Germania, sconfitta nella prima guerra mondiale, era colpa del giudaismo.

   Il fascismo italiano trovò nella crisi dello stato liberale la scusa perfetta per arrivare al potere non avendo nemmeno una rappresentazione a livello nazionale. L’allora presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, Luigi Facta, disse al re Vittorio Emanuele II di agire con fermezza (quattro cannonate) di fronte a quattro lepri che avevano marciato su Roma. Ma quei quattro farabutti fecero del malessere di un’Italia impoverita per una grande guerra e per le condizioni che lo stesso trattato di Versailles non la favorirono (Vittorio Emanuele Orlando di fronte al francese Clemenceau sembrava impotente), la scusa perfetta per dare una falsa speranza ed una colpa alla situazione che viveva l’Italia del secondo decennio del ventesimo secolo.

   Oggi sembra che riviviamo quel clima di odio e intolleranza verso chi “è diverso-i migranti”, incolpandoli di qualsiasi problema che la Repubblica Italiana vive. Se c’è delinquenza in Italia è colpa dei migranti. Se non c’è lavoro la colpa è dei migranti. Se la crisi affligge a tutte le famiglie italiane la colpa è dei migranti. Qualsiasi attore politico ha paura di smentire ciò perché il timore di perdere voti è enorme. L’intolleranza è ormai un sentimento trasversale che non esclude nessuno.

   Dal M5S, alla Lega Nord, dal PD a Forza Italia, dalla Lega di Salvini a LeU, cambiando l’ordine degli addenti la situazione non cambia. È un panorama politico cieco. Cieco verso la realtà che si vive. Si fa politica con forme obsolete che non rispecchiano la realtà. Il cambio è rappresentato da quanto un partito o una coalizione di governo farà aumentare il PIL. È come se l’unica cosa che conta è lo Spread, il PIL, la Borsa Valori, il regime di cambio Euro- USD, il debito. Tutto gira intorno all’economia, tutto è merce, la gente non esiste, siamo solo numeri, sia noi che i migranti. I dati poi servono a giustificare politiche intolleranti, senza però soffermarsi a vedere la realtà. Una realtà che nonostante si dica che stiamo tornando nel cammino della crescita economica, il reddito degli italiani è sempre più impoverito, le disuguaglianze aumentano, e paradossalmente sono più gli italiani che vanno via dall’Italia che gli stranieri che arrivano.

   In questo mondo politico di circo, sembrerebbe che tutto si risolva con i tagli agli stipendi dei parlamentari, o con dare soldi alle imprese, con tagliare le tasse o con snellire la burocrazia, con dare lavoro agli italiani anche se solamente precario, o con cacciare i migranti.

   La crisi ha fatto luce sulla poca capacità di riflettere che ci è rimasta. Ci ha reso allo stesso tempo tutti esperti di economia e politica. L’uso di concetti come quello di democrazia diretta sembra essere la soluzione non mettendo mai in questione il concetto di democrazia rappresentativa.

   Le università, i partiti o ciò che esiste dei movimenti (più che mai legati al mondo cattolico) non sono più luogo di discussione e di proposta. Oggi si parla di Meet-up o di circoli che favoriscono il “casique” di turno. I partiti sono diventati baluardi di famiglie che difendono i propri interessi o di pseudo politici che si evidenziano con frasi di grandi filosofi senza però aver letto neanche per curiosità Il principe”.

   La campagna elettorale che si è appena conclusa mostra l’odio e l’intolleranza che viviamo come paese, ormai privo di solidarietà e di un progetto comune. Da “destra” a “sinistra”, “dal centro” a chi si definisce “fuori da queste categorie obsoleteciò che conta è strumentalizzare la politica senza capire ciò che viviamo come società. Si parla di “sinistra europea” o di “destra nazionalista”, di “antisistema” e di “populismo” o di “+Europa”, di “Libertà ed uguaglianza” o di “Futuro” in maniera superficiale e strumentalizzando qualsiasi parola.

   Ma ci si è mai posto il problema del perché viviamo come società una crisi non solo economica, ma politica, di valori, ambientale e culturale del pensiero che ha costruito le basi di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi 70 anni?

   L’unica cosa che ci è rimasto è “Pensare”, ma non lo facciamo. Siamo schiavi dell’internet e della facile ricerca di ciò che non sappiamo. Ormai il Facebook o il Google sono gli strumenti di verità assoluta. C’è una grande propensione all’essere visibili con grandi citazioni che mettano in luce la nostra intelligenza. Siamo un popolo di laureati e di sapientoni. Si sa tutto su tutto e su tutti. Si dibatte gridando e non riflettendo. Tutto gira intorno agli stessi argomenti, ma, non si pensa! Pensare o riflettere è un reato!

   Se pensassimo alle condizioni in cui versa l’Italia, l’Europa ed il mondo; forse se la finissimo di pensare che siamo il centro del mondo; forse se ci concentrassimo in questa difficile situazione e provassimo ad immaginare nuovi soggetti politici e nuove forme di politica che mettono in discussione tutto; forse se ci concentrassimo nella solidarietà e nella forma di società in cui vorremmo vivere; forse, allora inizieremmo un nuovo cammino, certo imprevedibile ma che potrebbe darci speranza di un avvenire diverso.

   Tuttavia, con le elezioni appena concluse, come disse Giulio Cesare dopo aver varcato nella notte del 10 gennaio del 49 a.C. il fiume Rubicone, “Alea iacta est”, ma con la consapevolezza che più che un futuro solidale o differente, ci aspetta un futuro di odio e intolleranza.

Prof. Giuseppe Lo Brutto

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