La Germania riconosce il genocidio armeno, le relazioni con la Turchia sono compromesse?

Il Bundestag (parlamento federale tedesco) ha recentemente votato una risoluzione che definisce genocidio le azioni compiute dall’Impero ottomano nei confronti della popolazione armena durante la prima guerra mondiale. Il presidente turco Erdogan richiama in patria l’ambasciatore a Berlino e annuncia tensioni diplomatiche, Angela Merkel non si espone e accetta la decisione del parlamento, approvata anche con i voti del suo partito, sostenendo però che le relazioni tra le due potenze continueranno profonde e cordiali.


Il cammino verso il riconoscimento internazionale del genocidio armeno, avvenuto tra il 1915 e il 1917, compie un ulteriore passo in avanti. Dopo il riconoscimento formale da parte di vari paesi tra cui Italia, Francia, Argentina, Svezia e Russia, solo per citarne alcuni, arriva il riconoscimento da parte della Germania. Il genocidio, strenuamente negato da parte delle autorità turche, eredi di quello che fu l’Impero ottomano, non ha ancora trovato spazio nella storiografia di molti paesi, tenendo così la discussione ancora aperta con accesi scambi di opinioni tra gli attori coinvolti.

Il forte peso internazionale della Turchia ha sicuramente reso il cammino più difficile, che non volendosi riconoscere responsabile di crimini internazionali estremamente gravi, come quello di genocidio, usa tutta la sua capacità di pressione politica per rallentare o invertire questo processo. Il riconoscimento della Germania è sicuramente una svolta importante.

Germania e Turchia infatti, sono due grandi potenze del blocco NATO, e hanno tra di loro intense relazioni, commerciali, sociali e politiche. Secondo dati Auswaertiges-amt, gli scambi commerciali tra i due paesi infatti sono elevatissimi, il totale degli scambi ha raggiunto nel 2015 i 36 miliardi di Euro, ripartiti in 14 miliardi di importazione tedesca e 22 miliardi di importazione turca. La Germania rappresenta il principale mercato di esportazione turco e la Turchia si colloca al 14° posto assoluto come mercato di esportazione tedesco, posizione che sale fino al numero 4 se non consideriamo i paesi appartenenti all’UE, rimanendo dietro solo a Stati Uniti, Cina e Svizzera.

Tale livello di interconnessione tra le due economie è stato generato a partire dal secondo dopoguerra, a causa della forte emigrazione turca in Germania, che ha fatto sì che oggi in Germania siano presenti quasi 3 milioni di cittadini di origine turca, di cui circa la metà in possesso della cittadinanza tedesca.

La Germania infatti è stata da sempre uno dei paesi dell’UE più disponibili al dialogo con la Turchia e al suo progressivo inserimento nelle istituzioni comunitarie. Fu proprio durante il semestre guidato dalla Germania nel 1999 che iniziò il percorso che ha portato alla candidatura della Turchia all’ingresso nell’UE nel 2005. Processo tuttora in corso che ha avuto degli alti e bassi, dovendo risolvere problemi di possesso dei requisiti come il rispetto di alcune libertà fondamentali dei sistemi democratici, tipo libertà di stampa ed organizzazione, e questioni più specificatamente geopolitiche come la contesa con la Grecia per Cipro.

La Turchia in ogni caso, o dentro o fuori l’UE, rappresenta una grande potenza regionale, che spesso risulta fondamentale per la risoluzione delle delicate problematiche mediorientali, la crisi dei rifugiati siriani e i finanziamenti concessi dall’Europa al governo di Erdogan per tamponare i flussi è un buon esempio per far capire l’importanza di avere relazioni distese e cordiali, soprattutto quando il presidente turco è un forte nazionalista, impegnato nella restituire alla Turchia la grandezza che fu dell’Impero dei sultani, un uomo molto determinato, molto conservatore, con l’idea dello stato intrinsecamente legata alla religione islamica, che usa maniere forti per risolvere questioni rilevanti(Gezi Park, 2013; oppure l’abbattimento di un aereo militare russo).

Alla luce di queste considerazioni, sembra del tutto normale che un presidente energico e forte come Erdogan decida di richiamare l’ambasciatore e dichiarare le relazioni con la Germania irrimediabilmente compromesse.

La cancelliera Merkel però sembra abbastanza sicura del fatto che le relazioni tra i due paesi continueranno inalterate, ed è probabile che ritenga quello di Erdogan uno sfogo dettato da esigenze di immagine piuttosto che una reale intenzione di peggioramento dei rapporti.
Pecunia non olet” dicevano i latini, per cui la cancelliera sa bene che il mercato tedesco è parte fondamentale dell’economia turca e soprattutto che nonostante la grande potenza turca la parte del leone negli scambi e nella politica continua a farla la Germania. In pratica anche se un deterioramento dei rapporti sarebbe sconveniente per entrambe, la Turchia avrebbe più da perdere rispetto alla Germania.

Il riconoscimento del genocidio armeno è diventato col tempo uno degli argomenti caldi dell’agenda internazionale, con un gran numero di storici e intellettuali del mondo occidentale che concordano nel definirlo tale. Anche il famoso scrittore turco Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006, si è schierato a favore del riconoscimento del genocidio. Questa presa di posizione è costata cara allo scrittore. Ha ricevuto minacce di morte infatti da alcuni gruppi ultra-nazionalisti turchi che lo hanno bollato come un traditore. Anche alcuni esponenti del governo hanno criticato la sua posizione, sostenendo che Pamuk con queste dichiarazione voleva esclusivamente ingraziarsi gli ambienti intellettuali occidentali per ottenere il premio Nobel.

Ad oggi la Turchia continua a sostenere che le uccisioni effettuate dai soldati ottomani furono delle semplici operazioni militari di difesa, in risposta agli attacchi armeni, alleati della Russia durante la prima guerra mondiale e che non possono essere assolutamente classificate come genocidio.

Dall’altra parte, gli armeni, emigrati in massa in varie parti del mondo, e specialmente nel continente americano, parlano di 1 milione e mezzo di morti e della precisa volontà di pulizia etnica dell’Impero ottomano, continuando a far pressione sui governi dei paesi in cui hanno trovato asilo affinché riconoscano il genocidio. Gli Stati Uniti non hanno tuttora riconosciuto il genocidio, nonostante molte delle associazioni dei rifugiati armeni siano proprio negli Stati Uniti. La Turchia evidentemente riesce ad influenzare gli USA più di quanto riesce ad influenzare la Germania.

La discussione internazionale continuerà sicuramente anche nei prossimi mesi ed anni, sperando che si possa far chiarezza e ristabilire una verità storica, con la speranza che il dibattito si faccia più disteso e con la consapevolezza che non è mai tardi per chiedere scusa dei propri errori, se così lo dirà la verità storica medesima, affinché dal passato si possa imparare a non commettere mai più gli stessi errori.

Dott. Giuseppe Difrancesco

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