La Spagna di nuovo alle urne. Poche certezze e tanti dubbi

Le elezioni generali del 20 Dicembre 2015 hanno rappresentato un punto di svolta epocale nella situazione politica spagnola. Il tradizionale bipolarismo tra PP (Partido Popular, centrodestra) e PSOE (Partido Socialista Obrero Español, centrosinistra) che ha caratterizzato la vita istituzionale dalla caduta del franchismo è stato superato con l’avvento di due nuovi soggetti politici: Podemos (sinistra) e Ciudadanos (centro). I risultati elettorali non hanno consentito però che si riuscisse a formare un nuovo governo. Si ritorna al voto dunque il 26 Giugno con il rischio concreto che la situazione rimanga sostanzialmente invariata.


Sembra che il vento della storia stia tornando a soffiare forte sulla penisola iberica, portando nella terra di Cervantes un’aria nuova in cui però volteggiano ceneri e polveri appartenenti ad un’aria vecchia. Braci ardenti rimaste nascoste sotto la cenere per quasi un secolo, col vento in arrivo possono riaccendersi o disperdersi determinando il futuro cammino storico che gli spagnoli vorranno intraprendere. La cenere di cui parliamo è ovviamente la cenere della guerra civile, infuocata tra il ‘36 e il ‘39 del secolo scorso, che portò all’instaurazione della dittatura di Francisco Franco terminata nel ‘75 con la morte del “caudillo de España” e al progressivo passaggio alla forma attuale di monarchia parlamentare, attraverso la promulgazione di una nuova costituzione nel 1978, che ha permesso alla Spagna di essere ammessa nella Comunità Europea nel 1986.

Durante questo periodo denominato “transicion española”, è importante segnalare due eventi: il tentativo di golpe da parte di un gruppo di militari che il 23 Febbraio dell’81 entrarono armati in Parlamento, ma furono fermati dall’intervento del re Juan Carlos che in quanto comandante delle forze armate ordinò ai militari di bloccare il golpe; e l’ingresso della Spagna nella NATO (North Atlantic Treaty Organization) nel 1982, definitivamente confermato attraverso lo strumento del referendum nel 1986, seppur con una larga parte della popolazione che si espresse contrariamente (più del 40% dei votanti).

La vita parlamentare spagnola è stata caratterizzata dal bipolarismo tra PP e PSOE, che si sono avvicendati varie volte al governo. Dai primi governi del PSOE di Felipe Gonzalez in carica dall’82 al ‘96 si è passati al governo del PP di Jose Maria Aznar dal ‘96 al 2004, nel 2004 il PSOE ritorna alla guida del paese con José Luis Zapatero fino al 2011 per cedere nuovamente il passo al PP di Mariano Rajoy che è attualmente il Capo di Governo in carica. Le difficoltà che i vari governi hanno dovuto affrontare, oltre al noto ritardo della Spagna per quanto riguarda il settore industriale e quindi alla sfida della modernizzazione economica, è la questione delle Comunità Autonome.

Con la Costituzione del ‘78 infatti viene riconosciuto il diritto all’autonomia delle regioni e delle nazionalità che compongono il paese. Consentendo a popolazioni come quella catalana o quella basca di avere un ampio margine di autonomia legislativa, attraverso i Parlamenti regionali e la possibilità di affiancare al Castigliano (la lingua ufficiale dello Stato, comunemente chiamato Spagnolo) come lingua ufficiale anche la lingua autoctona della regione. Viene riconosciuto il grado di co-ufficialità nelle regioni di utilizzo alla lingua Catalana, al Gallego, al Basco e all’Aranese.

La questione linguistica gioca un ruolo molto profondo nelle pretese indipendentistiche, più o meno forti delle Comunità Autonome, soprattutto ricordando i tempi della dittatura in cui era vietato parlare altre lingue al di fuori del Castigliano, che ha marcato profondamente la geopolitica ideologica spagnola. I rapporti tesi tra il governo centrale e alcune formazioni indipendentiste più radicali, come l’ ETA che più volte a scelto la via della lotta armata e di azioni terroristiche per il raggiungimento dei propri scopi, ha influenzato molto la vita dei governi spagnoli.

Durante l’alternanza dei governi PSOE/PP, la Spagna in generale ha raggiunto dei sostanziali progressi economici che però sembrano essersi vanificati con l’avvento della crisi economica internazionale del 2008, che ha portato la percentuale di crescita del PIL a livelli negativi e che ha segnato irrimediabilmente la fiducia nel governo Zapatero e del PSOE, la cui sconfitta elettorale nelle amministrative del 2011 ha indotto il Capo del Governo alle dimissione e all’indizione di elezioni anticipate. Elezioni che come prevedibile hanno visto il trionfo del PP di Mariano Rajoy.

Rajoy però non è stato capace di risollevare di molto l’economia, nonostante alcune riforme atte al contenimento dei conti pubblici, in pieno stile “austerity”. La scarsa popolarità delle manovre finanziarie e altre difficoltà endemiche come ad esempio il tasso di disoccupazione che è tra i più alti d’Europa, hanno generato vari movimenti di protesta in tutto il paese (tali movimenti sono presenti un po’ dappertutto in Europa, specialmente nei paesi con i conti in rosso in cui le ricette di austerità vengono malamente digerite dalla popolazione) cui formazione più ampia è rappresentato dai cosiddetti “indignados”.

A raccogliere questi voti di protesta anti-sistema è stato inizialmente il partito Podemos, definito da varie parti come partito populista di sinistra, che con il suo leader marxista Pablo Iglesias ha raccolto buona parte dei consensi degli “indignati” e dei delusi del PSOE. Le bandiere repubblicane che accompagnano le manifestazioni di Podemos hanno l’odore di quella brace tenuta nascosta dalla fine della guerra civile, testimoniando che la storia non si cancella facilmente.
A raccogliere il voto di protesta, contro il sistema partitico, è comparso pure un quarto soggetto politico
: Ciudadanos, formazione centrista che raccoglie i voti di chi non si riconosce nel bipolarismo PP/PSOE ma neanche nel radicalismo di Podemos.

I risultati delle elezioni di Dicembre 2015 hanno così visto l’entrata nella scena politica di questi due soggetti che rispettivamente hanno preso il 20% dei consensi (Podemos) e il 13% (Ciudadanos). Per i due partiti dello storico bipolarismo, nonostante il 28% dei consensi (PP) e il 22% (PSOE) si tratta di una situazione nuova che li costringe a trattare con queste due nuove formazioni. Completano il quadro alcune formazioni minori come “Izquierda Unida” o “Esquerra Republicana de Catalunya” con percentuali intorno al 3%.

I tentativi di formare un governo hanno inizialmente coinvolto il PP, confermato come partito più votato, con una possibile alleanza con Ciudadanos, visto le tendenze politiche liberali di centrodestra di entrambi. Ma l’impossibilità di ottenere la maggioranza ha impedito l’accordo. A questo punto la palla è passata al PSOE di Pedro Sanchez, che nonostante alcune trattative con Podemos e altre formazioni di sinistra radicale ha preferito non spostare troppo a sinistra la barra del proprio operato, arrivando a ipotizzare un possibile governo a tre con PP e Ciudadanos, o a due solamente insieme al PP. Quest’ultima ipotesi rischiava di essere un boomerang per entrambi, perché la probabilità di perdere molti elettori, che verrebbero delusi dall’accordo con gli storici avversari, è ben concreta.

Al nuovo sovrano, Felipe VI, succeduto nel 2014 a Juan Carlos dopo l’abdicazione per motivi ancora in larga parte da chiarire, ma che ad oggi sembrano legati al rilancio dell’immagine della monarchia con un re più giovane e alla perdita di popolarità di Juan Carlos dovuto ad alcuni scandali giornalistici, non è rimasta altra possibilità che indire nuove elezioni. La campagna elettorale è già iniziata, con il consueto “valzer” di accordi e trattative tra partiti.
Il PP e il PSOE cercano di mantenere la loro posizione di dominio, anche se i frequenti scandali di corruzione che investono entrambi possono davvero determinare un calo di consensi

Podemos ha recentemente annunciato l’alleanza con Izquierda Unida, nel tentativo di aumentare i voti complessivi delle formazioni di sinistra. Ciudadanos si trova in una posizione ambigua, che da un lato la avvantaggia, visto la possibilità di risultare decisivo per la formazione di un governo, ma dall’altro la relega comunque a forza politica minore costretta a trattare con l’eventuale alleato che farebbe comunque la parte del pesce grosso. Lo stallo potrebbe anche ripetersi, con il rischio che a movimentare le acque ci pensi la Catalogna con le pretese di indipendenza che mai come in questo momento sono state tanto forti. Staremo a vedere come evolveranno le cose, con l’unica certezza, che dal futuro della Spagna dipenderà anche il futuro dell’Europa.

Dott. Giuseppe Difrancesco

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