Migranti, profughi e demografia. L’Italia cambia faccia?

Il tasso di crescita demografica è generalmente considerato dagli economisti uno dei fattori più rilevanti nell’economia di un paese. L’Italia cresce demograficamente grazie all’afflusso di stranieri che sopperiscono alla diminuzione delle nascite e all’emigrazione verso l’estero. Gli stranieri rappresentano ormai una quota molto importante dell’economia nazionale, di cui non sarà possibile fare a meno.


La scienza economica si è spesso occupata di crescita demografica.

Da Malthus che individuava nel sovrappopolamento uno dei principali problemi che il mondo avrebbe affrontato nel XX secolo, agli utilitaristi che vedono nella crescita demografica una delle varianti della crescita economica ed hanno cercato di individuare un cosiddetto livello ottimale di crescita demografica.

Entrambi gli approcci hanno validi argomenti a loro sostegno.

L’approccio malthusiano riassunto nei minimi termini dell’intuizione vede nell’aumento della popolazione un problema di depauperamento di risorse e della loro distribuzione. In pratica se le risorse a disposizione rimangono costanti e la popolazione aumenta è inevitabile che il benessere individuale diminuisca.

L’approccio utilitarista invece cerca di inserire la razionalità dei soggetti nelle questioni riguardanti la riproduzione. In tal modo i risultati possono variare, ma tenendo in considerazione alcune caratteristiche della società contemporanea, in particolare l’allungamento delle prospettive di vita e l’esistenza di sistemi pensionistici, alcuni economisti affermano che un certo tasso di crescita demografica sia necessaria per la sostenibilità del sistema.

L’Italia da ormai più di due decenni cresce (poco) demograficamente grazie all’afflusso di stranieri e al loro più alto tasso di natalità rispetto agli italiani.

Le donne italiane secondo dati Istat hanno infatti un tasso di fecondità pari a 1,39 figlio per ogni donna, mentre le donne straniere in Italia un tasso pari a 2,66.

La popolazione straniera residente in Italia negli ultimi 10 anni è aumentata di circa 3 milioni e mezzo di persone raggiungendo in totale più di 5 milioni di persone che rappresentano sempre secondo dati Istat l’8.3% del totale della popolazione.

Contrariamente rispetto a quanto può sembrare leggendo giornali o guardando ed ascoltando telegiornali e radio i continui sbarchi che avvengono nelle coste italiane incidono sulla presenza straniera in Italia in maniera abbastanza ridotta. Tuttavia il fenomeno ha una consistente rilevanza, magari non nel senso strettamente demografico ma quantomeno in senso politico data la percezione sociale del fenomeno.

Gli sbarchi registrati nei primi sei mesi del 2017 in effetti risultano essere in aumento rispetto allo stesso periodo del 2016 (quest’anno sono già arrivate via mare in Italia circa 60.000 persone, contro le circa 40.000 dello stesso periodo l’anno scorso) ciononostante l’incidenza sul fenomeno migratorio generale rimane abbastanza limitata.

Difatti dei più di 3 milioni e mezzo di stranieri arrivati in Italia negli ultimi 10 anni solo circa 700 mila sono arrivati via mare in maniera non autorizzata. Inoltre per una parte consistente di queste persone l’Italia è solo un paese di passaggio nel cammino verso i paesi del Nord Europa.

Dunque nonostante il dibattito politico sul tema sia più acceso che mai, e tocca temi che svariano dalla protezione dei diritti umani, al contrasto all’immigrazione clandestina e al traffico di essere umani, passando per la sicurezza e la lotta al terrorismo, la composizione demografica della società italiana sta cambiando principalmente a causa di migranti provenienti da paesi che non sono coinvolti in guerre civili o lotte per il potere come molti paesi africani.

La maggior parte degli stranieri arrivati in Italia proviene infatti dalla Romania, paese membro dell’Unione Europea, la cui popolazione residente in Italia supera il milione di persone.

La seconda comunità straniera più numerosa è quella albanese con più di 450.000 persone seguita a breve distanza dai cittadini marocchini che sono più di 400.000. Nella classifica delle comunità straniere più presenti in Italia entrano anche la Repubblica Popolare Cinese con più di 200.000 persone residenti, l’Ucraina, la Moldavia, le Filippine, l’India, il Bangladesh, il Pakistan e l’Egitto con più di 100.000 persone per ciascuna comunità.

I movimenti migratori dunque seguono in questo secolo principalmente dinamiche di tipo economico e lavorativo piuttosto che dinamiche di asilo e rifugio politico.

La presenza di cittadini stranieri è progressivamente diventata sempre più normale, e le attività economiche degli immigrati rappresentano circa l’8% del Prodotto Interno Lordo, un dato in linea con le percentuali demografiche.

Le attività economiche degli stranieri in Italia sono principalmente legate al settore primario dell’agricoltura in cui trovano lavoro solitamente come braccianti molti immigrati, specialmente nelle regioni del Sud, dove i produttori agricoli necessitano di raccogliere stagionalmente i prodotti ortofrutticoli come pomodori, uva, olive, mandorle, arance ecc.

Le condizioni di lavoro nei campi degli immigrati spesso sono davvero difficili, con bassi salari ed innumerevoli casi di caporalato ma non è questo il luogo dove approfondire la questione.

Il settore commerciale è un altro dei settori in cui gli stranieri hanno concentrato i loro sforzi lavorativi. È molto comune ormai nelle città italiane mangiare sushi e kebab, comprare vestiti in negozi cinesi, comprare alimenti e prodotti casalinghi nelle botteghe gestite da cingalesi.

Tutto questo ovviamente ha causato e continuerà a causare una trasformazione della società italiana.

Gli immigrati ovviamente portano con loro tutto un complesso di abitudini culturali, civili e religiose con cui gli italiani dovranno confrontarsi e che prima o poi verranno assorbite all’interno della cultura italiana.

Le metropoli italiane hanno già intrapreso il cammino del multiculturalismo che altre grandi città del mondo come Londra, Parigi, New York, Berlino hanno già percorso trasformandosi in capitali globali di cui noi italiani siamo stati in ognuna di esse una delle comunità di immigrati più grandi.

Nonostante le tensioni e gli spiacevoli accadimenti degli ultimi tempi (fortunatamente finora non nel nostro paese) che sembrano indicare un conflitto insanabile tra identità differenti, il futuro del nostro paese sarà fatto anche di moschee e di Ramadan, di templi buddisti e di capodanni cinesi, di croci ortodosse e di rituali africani.

Questi mutamenti non dipendono tuttavia dalla volontà dei governanti, che a detta di certi ambienti conservatori preferiscono pensare agli stranieri piuttosto che agli italiani, ma sono la logica conseguenza dello sviluppo tecnologico che nell’ultimo secolo ha reso il mondo molto più piccolo che in passato.

Le reti digitali connettono istantaneamente tutto il globo ormai, e lo sviluppo dei sistemi di trasporto, in particolare marittimo e aereo, ha reso l’intero globo attraversabile in 24 ore.

Pensare al mondo come se fossimo nel 1800 non solo è inutile, ma anche potenzialmente dannoso.

Il confronto con altri popoli e il “melting pot” culturale sarà la chiave di partenza per affrontare le nuove sfide che il XXI secolo presenterà alla società italiana.

In tal senso recentemente la politica italiana è ritornata a discutere di “Jus Soli”, cioè il diritto di cittadinanza riconosciuto ai nati nel territorio italiano, chi ne beneficerebbe ovviamente sono i figli di questa grande parte di popolazione rappresentata dagli stranieri.

Quello che è un semplice riconoscimento di un dato di fatto è diventato come sempre in questo paese un caso politico dove le posizioni contrastanti vengono presentate con emotività e strumentalizzazione, tra chi sostiene che ciò causerà soltanto l’arrivo di donne pregne con il solo scopo di partorire in Italia ed ottenere la cittadinanza e chi invece pensa che non è possibile continuare ad ignorare quasi 1 milione di persone nate e cresciute in Italia a cui è negato un diritto fondamentale.

Il multiculturalismo, inevitabile in questo secolo, funziona attraverso l’integrazione, ma l’integrazione, che dipende da molte cause sociali e culturali, deve essere sostenuta attraverso il diritto altrimenti rimane solo una parola vuota priva di significato ed efficacia.

Dott. Giuseppe Difrancesco

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