Il 18 marzo scorso, l’Africa ha ricordato la data in cui è stato istituito il suo Parlamento Panafricano. Con questo termine, si fa riferimento a uno degli Organi più importanti dell’Unione Africana, che figura come insieme dei rappresentanti di tutto il popolo africano.
Il Parlamento Panafricano nato il 18 marzo 2004, si trova insediato attualmente a Midrand, in Sud Africa. La sua sessione inaugurale è avvenuta il 16 Settembre dello stesso anno. Attualmente, il suo Presidente è il diplomatico camerunense Roger Nkad Dang. E’ composto da 260 deputati di 54 Paesi membri dell’Unione Africana. Essi non vengono eletti da un corpo elettorale attraverso un suffragio universale, ma sono preferibilmente indicati dai loro rispettivi parlamenti nazionali e il loro mandato si rinnova ogni 5 anni. Periodicamente il Parlamento si raduna per valutare le sue attività interne, fare il resoconto delle situazioni che emergono negli ambiti regionali e nazionali, cercando di trovare delle suggestioni per le risposte immediate alle questioni puntuali.
L’esistenza del Parlamento Panafricano, come articolazione dell’Unione Africana, segna un tempo nuovo nella sfera politica internazionale. E’ una innovazione, però, che per comprenderla meglio richiede che si dia uno sguardo retrospettivo. La sua storia viene ricollegata sostanzialmente all’ Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), oggi Unione Africana.
Cinquant’anni dopo la fondazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) il 25 Maggio 1963, il vecchio continente ha gradualmente maturato delle esperienze in vari domini e, soprattutto negli anni novanta, ha conosciuto un’ulteriore evoluzione politica che lo ha condotto fino alla nascita dell’Unione Africana. Quest’ultima si distingue dalla prima Organizzazione nella forma e negli obiettivi. Allora furono 31 Stati Africani che firmarono ad Addis Abeba, in Etiopia il documento che dava vita a quell’Organizzazione.
All’origine dell’Organizzazione dell’Unità Africana vi è l’iniziativa di un gruppo di grandi pensatori e rivoluzionari africani e afroamericani come l’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie (Egersa Goro 23/07/1892 – Addis Abeba 27/08/1975), Lèopold S. Senghor (Joal- Faudiouth 09/10/1906 – Verson 21/12/2001), F. Kwame Nkrumah (Nkroful 21 /09/1909 – Bucarest 27/04/1972), e Malcolm X (Omaha, Nebraska 19/05/1925 – New York 21/02/1965), soltanto per citare alcuni. Lo scopo dell’Organizzazione era quello di combattere contro il colonialismo, sradicare l’apartheid ed ogni forma di oppressione alla quale l’Africa era sottomessa. Si proponeva di difendere la sovranità e l’integrità territoriale dei suoi stati membri, rafforzare l’unità e la solidarietà di tutti gli stati africani e favorire la cooperazione internazionale nel quadro delle Nazioni Unite.
Dal 1963 in poi, a livello del Continente, molte cose sono cambiate sostanzialmente. È stata sconfitta la macchina del colonialismo, almeno nel suo volto più tragico e complesso come un fenomeno di un sistema politico arbitrariamente traumatizzante, in tutti sensi. Durante gli anni 60 e 70 la maggior parte dei paesi africani giunse all’indipendenza, tranne lo Zimbabwe (1980) e la Namibia (1990).
Lo status vitae delle indipendenze si è vissuto in un clima di euforia per la liberazione dalla tirannia, ovvero dal giogo coloniale. Naturalmente, in questa condizione, era così tanto categorico quanto legittimo celebrare l’autodeterminazione conquistata. Tuttavia, nel giro di mesi o di pochissimi anni, in varie parti, sono scoppiate le guerre interne alimentate dall’imperialismo che indossava le sue due magiche ideologie: il capitalismo e comunismo. In Effetti, gli antagonismi sociali e una serie di problemi di tipo ideologico, politico, religioso e gli scontri, come il caso del genocidio ruandese (1994), provengono esattamente da questo imperialismo straniero che ha promosso le rivalità tra alcune tribù invece che l’unità, la solidarietà, pari dignità umana, valori intrinseci all’uomo africano.
Dall’imperialismo culturale ed economico occidentale infatti si possono fare risalire i risultati dannosi della Conferenza di Berlino (1884 – 1885), che con la riga e squadra ha determinò i confini geografici dell’Africa, mescolando o separando i popoli con criteri non autoctoni. Sotto gli occhi, tali risultati sembrano mere divisioni fittizie, ma in realtà, spesso fanno parte delle cause di alcuni scontri violenti che si verificano in certi paesi dell’Africa.
Davanti agli errori e alle varie peripezie che ancora prevalgono nei sistemi politici, sociali ed economici, l’Organizzazione dell’Unità Africana si era rivelata inefficace e, forse, oltrepassata. Alcuni analisti per molto tempo mettevano in dubbio perfino la sua capacità deliberativa, criticata “aspramente” dal colonnello M. Gheddafi ucciso nel 2011. Esso proponeva la riformulazione del progetto “di integrazione continentale attraverso un’organizzazione che aggiornasse gli obiettivi dell’organizzazione” stessa (Cfr. Treccani Atlante Geopolitico – 2015 pag.1005). La preoccupazione di vedere colmati i gap evidenziati nel modus operandi di quell’Organizzazione e di ridarle vitalità era notabilmente sentita. Di conseguenza, alla fine del secolo scorso, il discorso sull’esigenza di trovare un meccanismo che fosse, in linea di fatto, un superamento della obsoleta OUA, non è stato soltanto raccolto dai capi di stato, ma si è generalizzato rapidamente anche negli ambienti civili e accademici africani. Il dibattito divenne talmente vivace che dominava l’ordine del giorno di quasi tutte le riunioni tenute ad Addis Abeba. Finalmente il 26 Maggio 2001, in quella città “l’Unione Africana ha visto la luce”. Oggi, incorpora tutti gli stati africani, eccetto il regno di Marocco, che per il momento, si sta impegnando abbastanza a regolarizzare la sua situazione.
E’ un merito, intanto, che deve essere riconosciuto ai pionieri dei primi tempi che hanno sostenuto l’idea di creare gli Stati Uniti dell’Africa come una necessità urgente e premente. In capofila, si trova l’afroamericano Marcus Garvey, il primo a pronunciarsi pubblicamente nel 1924 negli Stati Uniti dell’America, invitando i leaders africani a intraprendere la via di uno stato federale. Ma l’acerrimo difensore e promotore della creazione dell’Unione Africana è stato proprio, il leader libico Mu’ammar Gheddafi, che negli anni 90 “si autonominò erede delle istanze panafricaniste dei grandi padri della patria ed eroi della decolonizzazione Africana”. L’ex Presidente sudafricano Tambo Mbenki è stato altrettanto uno dei protagonisti più notevole dei nostri giorni. Non ha mai risparmiato i suoi sforzi in favore dell’ingrandimento della nuova Organizzazione Africana.
Il 2 Luglio 2002 a Durban, in Sudafrica, il “Paese simbolo dell’affermazione dei diritti umani” (Cfr.Treccani Atlante Geopolitico – Roma 2015, pa.1005). Nella sessione inaugurale, 53 capi di stati africani hanno aderito alla Carta di Durban. La storica Carta di Durban introduce la possibilità che organi collettivi interafricani intervengano nelle varie situazioni. L’Unione Africana, al contrario dell’OUA passa ad essere la prima Organizzazione Internazionale del Continente che ha riconosciuto il proprio diritto di intervenire in uno stato membro, in caso di crimini di guerra e contro l’umanità e di genocidio”. La gran novità è stata quella di aver introdotto il principio di “Non Indifferenza” (Cfr. Carta di Durban 2002) che è subentrato al principio di Non Interferenza negli affari che può essere considerato l’esponente interno previsto dall’OUA.
Il Principio di non Indifferenza è una svolta che dimostra la preoccupazione di intervenire cercando le soluzioni comuni. Nessuno deve sottrarsi o esentarsi dalla responsabilità. Tutti gli stati membri sono invitati come soggetti attivi e corresponsabili a intervenire sempre che sia necessario. Comunque, nonostante i suoi propositi e un certo dinamismo che viene manifestando resta ancora un sistema chiuso che non offre al popolo la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti per il Parlamento stesso.
In base al principio classico di separazione di poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), al Parlamento spetta il potere legislativo. In questa prospettiva, nell’articolazione tra poteri e istituzioni, il Parlamento Panafricano dovrebbe assumere un ruolo importante nella produzione delle norme. Il compito di varare le leggi, e conseguentemente controllare in modo sistematico la sua applicazione nel continente, sarebbe il suo filone principale per garantire diritti politici e civili ad ogni cittadino africano.
Si credeva vagamente che dopo cinque anni previsti quell’Organo Sovrano avrebbe portato un nuovo slancio alla vita politico-sociale ed economica del continente. Vale a dire che il tempo denota un contrappasso. A distanza di 14 anni dal suo atto inaugurale (il 16 Settembre 2004) è ancora privo della propria potestà e resta un organismo consultivo.
You may also like
-
How the “Limited Legitimacy Syndrome, LLS” undermines democracy and national interests in Africa
-
L’Africa tra la Cultura della Pace e la Pace attraverso la Cultura. Una lettura complementare delle Biennali di Luanda
-
L’Afrique face aux défis du marché du travail: une nouvelle vision pour le développement
-
África entre a Cultura da Paz e a Paz através da Cultura. Uma leitura complementar das Bienais de Luanda
-
Como é que a «Síndrome da Legitimidade Amputada, SLA» prejudica a democracia e os interesses nacionais em África