Parlamento Panafricano. Un organo senza potere legislativo (ii)

Il 18 marzo scorso, l’Africa ha ricordato la data in cui è stato istituito il suo Parlamento Panafricano. Con questo termine, si fa riferimento a uno degli Organi più importanti dell’Unione Africana, che figura come insieme dei rappresentanti di tutto il popolo africano.


   Nel 2014, una scelta di speranza è stata fatta, quando venne firmato il Protocollo di Malabo (Guinea Equatoriale) dagli Stati Membri dell’Unione Africana. Il Protocollo prevedeva la legislazione sulla questione di libera circolazione di persone e beni all’interno del continente, ma fino ad oggi non è stato ancora ratificato. La sua prassi si è ridotta meramente alle funzioni consultive.

   Un Parlamento sprovvisto della capacità decisionale o deliberativa, incapace di emanare una legge alla quale si possa affidare la definizione delle politiche è, di per sé, un’istituzione troppo debole.

   Con lo schema attuale, sembra un’assemblea sindacale che esiste per risolvere, soltanto le questioni puntuali concernenti i suoi associati senza preoccuparsi delle profonde aspirazioni di migliaia di persone che vivono marginalizzate.

   A mio vedere non si può nemmeno considerare come un Parlamento Panafricano nel vero senso della parola, non essendo ancora effettivamente un organismo di partecipazione, che raccoglie i rappresentanti di tutti i popoli africani tramite elezioni dirette dei parlamentari.

  D’altra parte, il concetto di panafricanismo, di matrice filosofica o sociologica, va inteso come un movimento di solidarietà di tutti gli (pan) africani che si fonda logicamente su questo: l’africanità, una qualità inconfondibile.

   L’Africa ha bisogno di cambiare il suo paradigma politico. Al principio di Non Indifferenza che si aggiunga il Principio di Inscindibilità. Un principio da tenere conto, poiché non ammette la spaccatura o la separazione. Il continente africano è un tutt’uno, non si può dividere a pezzi. In qualsiasi circostanza l’Africa resta una sola e indivisibile. Solo così ci sarà uno spazio senza l’esistenza dualistica di un’Africa nera in contrapposizione dell’Africa bianca. Il Parlamento panafricano è insostituibile nell’elaborazione degli atti normativi che contengono un nucleo giuridico pluralistico. Esso è l’insieme dei comportamenti e di norme che si possono definire relativamente multiculturali e durevoli nel tempo.  E’ per definizione un’assemblea legislativa e ampiamente rappresentativa della pluralità dei gruppi e non restrittiva.

  Per il compimento di questo obiettivo bisognerebbe assicurarsi un elemento importante di unità: l’Africanità, l’autoidentificazione dell’uomo africano. La caratteristica indistinta, peculiare, lo specifico modo di essere africano in quanto tale e non altro. Bisogna fortificare l’autoconsapevolezza di avere le radici, valori comuni e lottare per conquistarli.

   Il Panafricanismo che, ormai, è divenuto un esercizio della libertà, si riveste di sua forza persuasiva, eppure dovrebbe occupar un posto centrale per spronare tutti gli africani a fare l’assunzione della loro africanità come caratteristica unitaria indelebile. In altre parole la consapevolezza di appartenenza ad unico continente culla dell’umanità (Madre Africa). Questo elemento è, in se, la garanzia per la mancante ricostruzione della cittadinanza africana con una comprensione maggiore.

   E’ da considerare l’africanità come l’anima del Panafricanismo, un elemento costitutivo e vincolante nei rapporti: fra il vertice della politica e la base (popolo), fra governanti e governati, musulmani e cristiani, fra cattolici e protestanti, fra nord africa e quella meridionale, africani neri e africani bianchi, fra città e campagna, secondo il Principio dell’Inscindibilità. Un diritto di esser insieme nella diversità.

   E’ irrinunciabile la presa di coscienza più ampia d’identità africana. Tutti i figli e le figlie dell’Africa dovranno prendere coscienza dell’importanza dell’africanità, come substrato ontologico, la condizione in cui tutti si riconoscono. Nessuno verrà escluso per la sua condizione sociale, politica, culturale, economica, etnica o religiosa perché tutti condividono la medesima radice.

   La questione Tribù viene contestualmente impostata come un male africano. Bisogna capire che l’imperialismo, da un tempo, ha sempre manipolato la coscienza, utilizzando il vocabolo “Tribù” o razza con cui si innesca, in certe persone, una sensazione di divisione e frammentazione interiore che si versa, poi, sul comportamento xenofobo, isolatore e emarginante. Quanto più diviso e separato è il popolo, tiratosi contro se stesso tanto più è sfrutto. 

   Purtroppo, ogni problema che succede viene interpretato in maniera estorsiva ed è motivo di pregiudizio. Parafrasando Ngugi wa Thiongo: “qualsiasi cosa accada in Kenya, in Uganda, in Malawi ha le sue origini in una Tribù A nemica della Tribù B. Qualsiasi conflitto abbia luogo in Zaire, in Nigeria, in Liberia, in Zambia ha le sue radici nella tradizionale discordia fra la tribù D e la Tribù C. Una variante della stessa stereotipata interpretazione è musulmani contro Cristiani oppure Cattolici contro i Protestanti, nei casi in cui sia difficile inquadrare una popolazione nello schema della Tribù”, e vengono classificati “in termini Tribù”. E’ un pregiudizio che ha preso il suo posto nella storia per giustificare le azione barbariche commesse in Africa dai suoi nemici, con gravissima complicità degli africani stessi.

  I mezzi di comunicazione sociale stranieri, spesso, hanno trasmesso le notizie con un bel sensazionalismo, offuscando la realtà dei fatti. E’ verosimile, ancora oggi, il fatto che alcuni Paesi africani si confrontino con le tensioni sociali e convulsioni politiche che trovano la loro forza nel tribalismo. Tuttavia, anche se i giornali di stampo imperialista non lo dicono, si sa, in genere, sono le contese che vengono incentivate da alcune lobby straniere che hanno loro interessi nel vecchio continente. Eccitando le guerre come una bella opportunità per la vendita delle arme. Senza dubbio, “si tratta di un commercio senza frontiere … esso sa superare la divisione tra Oriente e Occidente e, soprattutto, quella tra Nord e Sud, sino a inserirsi – e questo è più grave – tra le diverse componenti della zona meridionale del mondo” (Cfr. Dott. Tournenier Paul, Dalla Solitudine alla Comunità).

   La guerra a sua volta, “attizza le passioni” personali, in modo egoistico tanto che ogni oggettività scompare e prevale la soggettività che spinge l’individuo alla preservazione di se stesso, ostacolando la restaurazione del senso della comunità.

   Ammettiamo, “Il tribalismo è comunque un ostacolo di primo piano all’unità nazionale e africana” e diventa virale quando le forze politiche la utilizzano come uno strumento per raggiungere il potere.

   Oggi, è opinione condivisa che molte iniziative federaliste avviate in Africa non si realizzano per una sola ragione: mentalità individualista. Eppure questa è una verità che si ripercuote su ogni azione dell’Unione Africana. Un sistema che nasce come forma d’integrazione è accolto con unanimità, però, dopo viene preso isolatamente. Questo è un problema cronico che si fa ospitante nel cuore di alcuni tra i protagonisti, inculcato da qualunque mano invisibile.  Non può esser una fatalità che ogni tentativo dell’Unione Africana sia destinato inevitabilmente al fallimento.

   Concludendo, nonostante le difficoltà l’Africa viene chiamata ad essere l’artefice del proprio destino. Ha bisogno di abbattere le sue barriere economiche, politiche, ideologiche, religiose, culturali. Deve cercare di sciogliere tutti i confini geografici e adottare le strategie con le quali si possono rimuovere gli snodi egoistici dei nazionalismi esasperati che costituiscono la causa principale della povertà.

   L’Africa ha bisogno di una vera ed effettiva integrazione che consenta a tutti i suoi stati e popoli uno sviluppo sostenibile. Un futuro migliore per il continente che si fonda sulla convinzione di un impegno comune, favorendo i rapporti pacifici tra gli stati e privati, sbloccando la linea dei dazi doganali per un libero scambio commerciale e libera circolazione delle persone, permettendo il consolidamento dei rapporti pacifici e la compresenza dei diversi gruppi sociali, politici, economici, culturali, religiosi ecc. E tutto questo comporta che il Parlamento Panafricano svolga efficacemente il suo ruolo.  Le tensioni sociali avvertono che è urgente che Parlamento Africano si doti della propria potestà legislativa, una solida base giuridica da cui partire, in modo da diventare un’istituzione credibile e inderogabile.

   Uno Stato Federale Sovranazionale ci vuole per l’instaurazione di un governo inclusivo a cui affidare una responsabilità maggiore di gestire diligentemente le politiche del continente. Infine, è doveroso produrre gli atti normativi coinvolgenti, che riguardino tutti gli stati e popoli africani per l’adempimento degli obiettivi confermati nel progetto d’integrazione. 

   Si auspica che quanto presto si possa uscire dalla letargia quasi cronica e che l’Unione Africana che possa raggiungere la vera integrazione politica e economica e che con sicurezza venga a promuovere nel continente e nel mondo la cultura della pace, solidarietà, del dialogo e del rispetto alla vita in tutte le sue dimensioni, cooperando con gli altri stati. Non c’è una effettiva integrazione senza la condivisione.

Dott. Carlos Suco Billhete

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