Sudan, tra colpi di stato e canti di rivoluzione


In Sudan non sembra arrestarsi una instabilità che dura da tempo. Il 15 aprile 2023, la capitale Khartoum è piombata nel caos a causa dello scontro armato tra le Forze di Supporto Rapido (FSR) e le forze armate sudanesi (FAS).
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha segnalato che sarebbero moltissime le persone fuggite dal paese per spostarsi in luoghi più sicuri. Gli attori internazionali tentano di mediare in questo scontro che porta con sé l’eredità di una storia fatta di colpi di stato che hanno gettato acqua su una fiaccola della democrazia che non sembra accedersi.


 Il Sudan è un paese dell’Africa Orientale caratterizzato da una superficie semi desertica a nord e fertile a sud. Il paese è attraversato dal fiume più celebre, il Nilo, che serpeggiando verso nord sfocia nel Mar Mediterraneo. Le sue coste hanno visto la nascita e il tramonto di imperi millenari. Il regno di Kush è stato il più grande di tutta l’Africa che per circa un millennio ha governato l’area dell’attuale Sudan. Nell’antichità, il Mar Rosso ha rappresentato uno snodo commerciale fondamentale che univa “Arabia e Asia con il Mediterraneo. Il regno di Kush si trovava al centro di carovaniere che giungevano dal Mar Rosso e portavano stoffe di cotone, seta, aromi e spezie” (R. Fabiani, Le vie del commercio di Roma e Meroe, Bollettino di archeologia online, Ministero per i beni e le attività culturali, 2010, p. 34). Nel sito archeologico, situato a nord di Khartoum, oggi è possibile vedere ciò che resta di questo impero come le piramidi e le altre necropoli nel deserto. 
Tuttavia, il Sudan porta con sé gli strascichi di un passato tormentato.
Nel 1899, Gran Bretagna e Egitto siglavano un accordo sul dominio congiunto del paese. Entrambe volevano controllare la valle del Nilo e le sue risorse: oro, ferro, “marmo e granito dove, a 100 chilometri da Khartoum, si trovavano numerose cave” (Ambasciata dell’Italia a Khartoum, opportunità di investimento in Sudan). Nel 1956, l’indipendenza del paese aprii un nuovo capitolo della storia. Le divergenze tra nord e sud portarono nel 2011 alla nascita della Repubblica del Sud Sudan. Questa separazione lasciò aperte una serie di questioni sociali, politiche ma soprattutto economiche. Infatti, i due paesi dovettero “rinegoziare il sistema degli utili e gli accordi per l’utilizzo delle risorse” (Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Terra Nuova, 2023, p. 94) concentrate maggiormente a sud mentre gli impianti di lavorazione si trovavano a nord. L’instabilità del paese non dipenderebbe soltanto dalle divergenze sociali ma anche da una leadership politica che negli anni ha gestito il potere in modo autoritario frenando la voce del popolo.

Nel 1989, il generale Omar al-Bashir prendeva il potere con un colpo di stato avviando un governo destinato a durare trent’anni. Nel 2011, le proteste delle primavere arabe chiedevano la destituzione dei leader e un’apertura dei governi in senso democratico. Il Sudan viveva il divorzio tra nord e sud che distoglieva l’attenzione da quello che stava succedendo nei paesi limitrofi. In Sudan, le proteste iniziarono gradualmente: prima nelle “università, dove gli studenti chiesero libere elezioni nel comitato studentesco” (S. Zunes, Sudan’s 2019 revolution: the power of civil resistance, ICNC, 2021, p. 3) e dopo, nelle città fuori Khartoum, dove la gente lamentò l’aumento del prezzo del pane e le condizioni di vita. Nel 2019 le proteste raccolsero tutto il sentimento di malcontento contro il governo.

Il generale Omar al-Bashirvenne destituito e il popolo chiese che il governo passasse ai civili. Durante le proteste, il generale Abdel Burhan era stato nominato capo del Consiglio militare di transizione e insieme al suo vice, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto anche come Hemeti, avrebbero dovuto portare a questo cambio di leadership. Questo passaggio di testimone però, di fatto, non avvenne.

Il generale Burhan si mostrò contrario a lasciare il governo ai civili e nel 2021 prese il potere con un colpo di stato mettendo la parola fine “alle trattative con la resistenza democratica” (Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Terra Nuova, 2023, p. 93).

Nel 2011, le donne parteciparono attivamente alle proteste contro il governo. Dopo che il generale Bashir decise di oscurare i social network, le proteste si spostarono in piazza. Qui, i media internazionali catturarono l’immagine di una donna che, in piedi sul tetto di un’automobile, manifestò contro il governo. Le parole diventarono canti di rivoluzione che insieme al così detto “zaghareet” (suono vocale usato dalle donne durante le cerimonie religiose) diventarono il simbolo della protesta. Ben presto la donna venne ribattezzata “regina nubiana” per via del suo lungo abito bianco. D’altronde, non fu la prima volta che le donne ricoprirono un ruolo cruciale in Sudan. Durante il regno di Kush, le donne governarono “al pari degli uomini, senza alcuna distinzione, anzi l’unica piramide con una doppia cappella per le offerte fu proprio per una sovrana” (Africa. Vivere il continente vero, rivista, n. 3, p. 100). Inoltre, le testimonianze storiche ci dicono che le donne compirono addirittura azioni generalmente associate all’uomo come la tortura e l’uccisione.           

Il 15 aprile 2023, Khartoum è stata l’epicentro dello scontro tra il gruppo delle Forze di Supporto Rapido (FSR) guidato dal generale Hemeti e le forze armate sudanesi guidate dal generale Burhan, coloro che avevano collaborato nel 2019 e che avrebbero dovuto consegnare il governo ai civili.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha segnalato che gli scontri non sarebbero solo a Khartoum ma anche in altre aree del paese, come Merowe e nella regione del Darfur.
L’11 maggio 2023, le delegazioni delle FSR e FSA si erano incontrate a Jeddah, città in Arabia Saudita e avevano concordato una tregua per permettere le operazioni umanitarie. Tutto è sfumato in un nulla di fatto quando pochi giorni dopo l’incontro, si sono verificati nuovi scontri nella capitale.

I paesi limitrofi guarderebbero con attenzione ciò che sta accadendo, soprattutto l’Egitto, condomino storico del Sudan ed “oggi, paese maggiormente impegnato nell’accogliere i rifugiati che arrivano da Khartoum” (UNHCR, Sudan, un milione di persone in fuga. UNHCR chiede di garantire gli aiuti e la sicurezza dei civili, report, 2023, p. 2). L’Arabia Saudita, vicina di sponda e “main actor”nell’incontro tenutosi a Jeddah, vorrebbe limitare i conflitti nell’area in virtù del “Saudi Vision 2030”. Quest’ultimo vorrebbe estendere e diversificare il mercato del golfo ad un numero maggiore di investitori locali e internazionali, di conseguenza l’alta tensione nell’area rappresenterebbe una “red flag” per il progetto.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, “l’aumento del prezzo del carburante non permetterebbe alle persone di spostarsi verso aree più sicure” (UNHCR, Sudan Emergency: regional refugee response plan, report, 2023, p. 6). Inoltre, si teme che gli scontri possano colpire il sistema idrico del paese e l’energia elettrica che funziona grazie alla diga di Merowe. La diga si trova a nord di Khartoum ed “è stata costruita con ingenti capitali cinesi e dei paesi arabi” (S. Cera, Le tensioni internazionali sulle risorse idriche. Il bacino del Nilo, Panorama internazionale, n. 4, p. 19). A tal proposito, Cina e Russia avrebbero avviato negli anni una penetrazione in Sudan “per la speciale posizione geografica che lega il paese al mondo arabo e all’Africa subsahariana” (FAO report, Country profile – Sudan, 2015, p.1). Entrambe avrebbero firmato degli accordi commerciali con i governi dell’area incontrando il malcontento occidentale.

In conclusione, ci domandiamo se questo scontro tra generali non nasconda una faglia all’interno dell’élite militare oppure sia soltanto una corsa per il potere.

Monica Mei

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