L’Africa e l’Italia sono due realtà geopolitiche asimmetriche: il primo è un continente di 54 stati, con circa 1,2 miliardi di persone, quasi 1/5 della popolazione mondiale sempre in continua crescita. Stime ONU prevedono che la popolazione africana salirà dal 1.084.540 (15,1%) nel 2015 al 1.187.584 (15,7% ) nel 2020, ma è tra i luoghi più poveri al mondo. L’Italia d’altronde, ricchissima, è uno stato che secondo dati Istat conta una popolazione di 60.795.612, tra cui 21,4 % sono gli over 65, essendo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone.
Posta in questi termini sembra che l’Africa ha la meglio sull’Italia; ovviamente non esiste una cooperazione in termini di popolazione, cioè, l’Africa non farà l’Import degli ultrasettantenni italiani e l’Italia invece non farà l’import dei giovani africani per aiutarla a ringiovanirsi. Ma allora in che aree si può pensare una cooperazione fra le due sponde del mediterraneo, per ridurre le asimmetrie?
Secondo il Rapporto dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) 4 sono le aree che da oggi al 2020 contribuiranno alla crescita della regione:
1. Il mercato del consumo
Se pensiamo all’Italia come la terza potenza economica della zona euro, e con un’economia abbastanza diversificata, e che produce sostanzialmente per l’Export (10^ al mondo in termini di Export, con l’introito de 4,544 miliardi di euro in 2015), l’Africa, in quanto un continente di 1,2 miliardi di persone, che ha bisogno di importare per soddisfare i suoi vari fabbisogni (in termini di macchinari e prodotti tecnologici vari) costituisce un mercato abbastanza attrattivo per il bel paese.
2. Le risorse naturali
Se a livello del mercato del consumo Italia ha un forte vantaggio competitivo rispetto all’Africa, è invece a livello delle risorse naturali che quest’ultima spunta in vantaggio, giacché conta con delle immense risorse naturali, sopratutto in settore energico di cui l’Italia (potenza non nucleare) ha assolutamente bisogno. Gli investimenti dell’ENI in Angola, Mozambico o Congo sono di grande importanza per l’Italia ma devono anche esserlo per questi paesi, in modo da garantire un miglior welfare delle popolazioni locali.
3. L’agricoltura
Secondo dati della FAO, l’Africa conto il 17% delle terre arabili mondiali e l’agricoltura produce più del 20% del PIL. Le terre arabili non coltivate si stimano in 226 milioni di ettari. E cooperando con un paese come Italia che ha 4 percento della sua forza lavoro (25 milioni forza lavoro totale) a lavorare proprio nell’agricoltura, che tra l’altro rappresenta il 3 percento del PIL, oltre la sua esperienza e tecnologia in settore, le due realtà geopolitiche hanno tutte le carte in mano per rafforzare la cooperazione anche in questo settore, in modo tale che Africa usando del know how italiano in settore accelera il processo della diversificazione della sua economia, e possa competere nel mercato globale dei prodotti dell’oro verde.
4. Le infrastrutture
Le infrastrutture sono un elemento imprescindibile per lo sviluppo economico e sociale delle società moderne. E Africa ha un tremendo deficit in materia. Il piano NEPAD, ora sostanzialmente sostituito dall’Agenda AU 2063, non è riuscito a creare in Africa delle vere reti stradali, di porto e aeroporto in grado di attendere alla domanda della circolazione delle merci, persone e capitali. Una città come Lagos, la capitale economica e commerciale della Nigeria, abitata da circa 17 milioni, sui 182 milioni di nigeriani, non possiede la migliore rete metropolitana dell’Africa, essendo soltanto la secondo a quella di Cairo, di circa 8 milioni di abitati, e purtroppo e la città con il traffico più caotico al mondo. Ma si scrive Lagos e si legge Angola, Joanesburgo e in via discesa, e tutto ciò rende l’Africa meno attrattiva agli IDE. Si scrive rete stradale ma si legge anche settore di sanità, quello scolastico. Tutto ciò, costituisce la vera sfida che l’Africa deve affrontare insieme con i suoi partner mondiali, tra cui l’Italia.
Nonostante ciò, un altro settore (quinta area) importante di cooperazione fra i due sarebbe quello politico, ma qui l’Italia usando il realismo da la priorità invece a business, in modo da competer in parità con la Cina che non usa gli standard europei di Rule of law per fare affare con i leader africani e le loro entourage economiche.
Tutto sommato, le aree di cooperazione serviranno sia a creare posti di lavoro per i giovani africani, cui disoccupazione, secondo Fulvio Beltrami (in Africa, disoccupazione giovanile e false soluzioni) “riguarda circa 32 milioni di giovani e la situazione andrà peggiorando essendoci un netto divario tra crescita demografica e possibilità di impiego”, per un continente in cui “attualmente metà della popolazione Africana ha meno di 14 anni e ogni anno 11 milioni di giovani si immettono sul mercato del lavoro”.
Insomma, i politici e uomini di affari africani devono trovare i loro vantaggi competitivi, cioè, settori chiavi in cui hanno un totale dominio sull’Italia in termini economici, sviluppare capacità umane e tecniche adatte e assumere strategie di lavoro in modo a competere con un gigante quale Italia, e con ciò salvaguardare gli interessi nazionali in base al principio win-win e del completo rispetto delle sovranità nazionali, per bene delle generazioni presenti e future degli africani, una sfida non sempre facile in un mondo cui relazioni internazionali sono da sempre squilibrate.
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