La geopolitica della scienza

Il Rapporto della scienza con le condizioni geografiche dei vari Paesi rispecchia il tema delle risorse messe in campo per sostenere branche della ricerca, localizzando gli sforzi per ottimizzare al meglio i vari risultati, secondo i piani prestabiliti e in rapporto alle politiche di investimento.


Ma il problema della allocazione delle risorse non è soltanto un problema politico e/o di strategia politica. E’ anche un problema di etica scientifica, laddove gli scienziati, che sono i diretti interessati, possono rappresentare una parte notevole di quel consenso che, a volte, non è questione scontata, e che, quindi, diviene il primo passo per l’attuazione di una certa politica della/nella ricerca scientifica. Vogliamo dire con questo che esiste un problema di responsabilità sociale degli scienziati che soprattutto oggi, nell’era tecnologica, va tenuto presente e che, con i dovuti approfondimenti, sposta tutto l’interesse verso la sociologia della scienza, una disciplina che ha i suoi meritati episodi di celebrità negli Stati Uniti a partire dal primo quarantennio del XX secolo e le sue manchevoli dimostranze nei confronti della modernizzazione del mondo occidentale e dell’Europa in particolare (anni  ’70 del ’900).

Di fatto, oggi non si può certo dire che esiste un paradigma dominante nel panorama interno di tutte le scienze, anche perché il mondo moderno risponde con molta celerità nei confronti di modelli che offrano una versione pianificata delle materie scientifiche. Nessuno degli scienziati moderni si sogna di fare riferimento ad una prospettiva dominante se non ha bene verificato prima il tema della scelta responsabile degli individui implicati. Per ciò che concerne la sociologia della scienza, va detto che questa prende posizione sul tema dei resoconti di disinteresse che circolano al cospetto di politiche della ricerca ben definite. Ciò ci fa credere, ad esempio, che esiste un prospettiva critica nei confronti dell’affermazione di una certa utilità nel computo delle/nelle varie scienze nonché di un atteggiamento che si confronta con la pretesa rincorsa della verità nei campi di applicazione scientifica. Nel secolo scorso, così scriveva il sociologo americano Robert King Merton: “Sottolineare la purezza della scienza ha avuto conseguenze diverse dal minacciare, piuttosto che preservare, la stima sociale della scienza. Si insiste ripetutamente che gli scienziati dovrebbero, nelle loro ricerche, ignorare tutte le considerazioni diverse dal progresso della conoscenza. L’attenzione dovrebbe venire rivolta esclusivamente al significato scientifico del loro lavoro, senza alcuna preoccupazione per gli usi pratici a cui può essere adibito o, in generale, per le sue ripercussioni sociali (..) Le conseguenze oggettive di questo atteggiamento hanno fornito un’ulteriore base per la rivolta contro la scienza: un atteggiamento di rivolta virtualmente presente in ogni società in cui la scienza ha raggiunto un alto grado di sviluppo. Poiché lo scienziato non controlla, o non può controllare, la direzione in cui le sue stesse scoperte vengono applicate, finisce per diventare oggetto di rimproveri e di reazioni sempre più violente nella misura in cui queste applicazioni sono disapprovate (..) l’antipatia verso i prodotti tecnologici viene così proiettata verso la scienza stessa. Così quando i nuovi gas o esplosivi sono applicati come strumenti militari, è tutta la chimica ad essere condannata da tutti coloro i cui sentimenti umanitari sono stati offesi. La scienza viene allora considerata ampiamente responsabile per aver creato quelle macchine di distruzione umana che, si dice, possono precipitare la nostra civiltà nella notte eterna e nel caos”.

Il senso di queste parole ci introduce nel tempo odierno, laddove l’affermazione di una eticità schiacciante da parte degli scienziati sul mondo, resta un problema insoluto e insolubile, soprattutto nei confronti di una frammentazione del sapere scientifico che assilla ogni ambito disciplinare e che si muove pericolosamente in senso controproducente. Per dirla in altri termini, la geopolitica della scienza che segue criteri di eticità, imporrebbe oggi la vera rinuncia nei confronti di politiche localistiche, per non dire geografiche e territoriali (le quali ancora governano i concorsi universitari) e, comunque, la non vicinanza a strategie massicce di investimento di capitali in rapporto all’aumento dei profitti delle grandi imprese industriali e/o di quelli del capitalismo finanziario (l’altra faccia del capitalismo). Proprio il carattere internazionale del nuovo capitalismo delle banche impone che al processo di scoperta della verità e della ricerca del disinteresse si affianchi quello della responsabilità sociale degli scienziati, implicante tutta una serie di intenzioni comunitarie che si rivolgono lungo il profilo di una impresa scientifica. L’aspetto più moderno del comunitarismo delle/nelle scienze ha finito con il riproporre una sorta di politiche ‘ristrette’ di allocazione del prodotto scientifico che risultano finalizzate alla salvaguardia di un territorio, anche virtuale, nel confronto con esigenze più generali che riguardano la possibilità di leggere globalmente una certa strategia d’impresa scientifica e/o di investimento di capitali. La scienza, come altri beni, diviene nel mondo moderno, una merce di scambio, che ha i propri limiti di territorio e che necessita di una certa politica settorializzata, anche se essa si rapporta al mondo globale e a condizioni diverse di sussistenza. La scienza, come in altri campi, resta governata dalle transazioni e dalla rincorsa di interessi particolari che si mascherano da interessi più generali. Sulla geopolitica della scienza incide, infatti, pericolosamente la tentazione globalistica, la quale nasconde un mondo di interessi concorrenti tra piccole imprese diverse e, comunque, afferma una assenza di politiche trasparenti che riguardano i vari prodotti specialistici. Sembra strano, ma al giorno d’oggi si afferma anche la versione ‘nazionale’ dei prodotti scientifici, che vengono inseriti in un quadro di sviluppo il quale afferma la differenziazione di modi diversi d’investimento che finiscono per celare obiettivi che vanno oltre quel modo democratico di imporre le proprie scoperte sui vari attori implicati nel processo. Proprio da qui nascono le varie strategie di investimento scientifico che sono sottoposte al vaglio degli organismi politici degli Stati. Anche la scienza viene così ad attuare il suo fabbisogno di implementazione, in un modo di interesse razionale che la governa e che attende ancora l’affermarsi di una eticità che deriva dal modo stesso di essere dell’impresa moderna, quella che pone sul piatto della bilancia gli svariati interessi sociali di una intera civiltà del progresso scientifico.

 

                                                                       Prof. Guglielmo Rinzivillo

                                    Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Sapienza-Università di Roma

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