La Polonia alle urne tra il sostegno all’Ucraina e il futuro delle relazioni diplomatiche con Berlino


Avamposto degli Usa sul fronte orientale e sorvegliato speciale di Bruxelles, la Polonia si appresta a rinnovare il Parlamento nella giornata odierna. Dopo ‘il nulla di fatto’ decretato dalle urne in Spagna lo scorso luglio, le elezioni polacche, proprio come quelle che si terranno in Olanda a novembre dopo le dimissioni a sorpresa del premier liberale Mark Rutte, potrebbero innescare un decisivo rimescolamento di carte nel vecchio continente a pochi mesi dalle elezioni europee del prossimo giugno 2024. Un’ eventuale terza vittoria del premier uscente, il conservatore Mateusz Morawiecki, potrebbe dare nuovo vigore al braccio di ferro tra Bruxelles e Varsavia, con quest’ultima che da anni rappresenta per l’Ue una vera e propria spina nel fianco a causa delle sue politiche sovraniste e illiberali. Inoltre, il trionfo dei conservatori del PiS minaccia di sfilacciare il fronte europeo, finora piuttosto compatto, nel sostegno militare a Kiev, in un momento storico molto delicato in cui l’esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina ha riportato prepotentemente d’attualità l’importanza strategica di Varsavia nel continente europeo.


Oggi i cittadini polacchi sono chiamati a rinnovare i 460 membri della Sejm – la Camera bassa che è il vero fulcro decisionale del Parlamento – e i 100 del Senato. Le parlamentari in Polonia arrivano otto mesi prima delle elezioni europee che, in tutta l’Unione europea, si terranno in una forchetta temporale compresa tra il 6 e il 9 giugno 2024, e anticipano di un mese le elezioni in Olanda, inaugurando un autunno politicamente caldo in tutta Europa. D’altronde, in una congiuntura globale segnata dal ripensamento degli equilibri e da un preoccupante disordine mondiale, sarebbe assurdo pensare che i risultati delle urne polacche siano in un certo senso a ‘impatto zero’, ovvero incapaci di incidere in alcun modo sui futuri assetti di potere in Europa e, soprattutto, ai confini dell’Ucraina. A sfidarsi, in quella che è diventata nel corso dei mesi una vera e propria faida elettorale, ci sono due volti noti della politica polacca: da un lato, il premier uscente e leader del partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), Mateusz Morawiecki, e dall’altro l’ex primo ministro polacco ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk che guida la coalizione liberale di centrodestra, denominata Coalizione Civica (Ko).

In Polonia la tradizione democratica è molto meno radicata che in altri paesi d’Europa e di conseguenza lo scontro politico tra una destra conservatrice e identitaria e una più liberale ed europeista ne risente in modo sostanziale. Ad agosto, subito dopo l’annuncio delle elezioni, i sondaggi segnalavano una buona tenuta del partito di governo, il PiS, con oltre il 35% dei consensi, in vantaggio sulla Coalizione Civica (Ko), data intorno al 30%. Tuttavia, in questo ultimo mese entrambi gli schieramenti hanno subito una lieve flessione nei consensi, a differenza della Confederazione (Konf) dei partiti di destra estrema che ha più che raddoppiato i consensi rispetto al 2019, sfiorando il 14%. Ma pur essendo entrambi uomini di destra, Morawiecki e Tusk sono politicamente agli antipodi, soprattutto per quanto riguarda il modo di concepire le relazioni tra la Polonia e l’Unione europea. Se, infatti, il PiS di Morawiecki è una forza politica a tendenza fortemente autoritaria che fa della conflittualità e dello scontro con gli avversari politici, dentro e fuori ai confini nazionali, il principale catalizzatore del consenso elettorale, la coalizione guidata da Tusk è invece fortemente proiettata verso l’Ue.

La destra conservatrice polacca ha infatti sempre guardato all’Unione europea come a un’occasione per migliorare soltanto la propria condizione economica all’interno del blocco occidentale ma non ha mai pensato di cedere parte della propria sovranità in favore di un progetto europeista, a guida sostanzialmente franco-tedesca, derubricato da Varsavia a surrogato di una certezza ideale che abita al di fuori dell’orizzonte della Storia e a cui la Polonia non intende omologarsi.

Negli anni della sua lunga presidenza, il premier Morawiecki ha sapientemente radicalizzato questo atteggiamento, inseguendo il sogno concreto di una “Europa delle patrie”, supportato in questa sua operazione da Jarosław Kaczyński, il grande regista della destra polacca, colui che rese possibile il progetto di coalizione con il partito populista Autodifesa della Repubblica di Polonia (Samoobrona) e il partito di estrema destra della Lega delle famiglie polacche.

Negli ultimi anni, lo scontro tra Varsavia e Bruxelles si è propagato su direttrici piuttosto eterogenee e tuttavia la Polonia non ha mai manifestato la chiara volontà di lasciare l’Ue per ragioni legate sostanzialmente a benefici di carattere economico e commerciale. Basti pensare che il Recovery fund, approvato dalla Commissione europea nel 2020 per la ripresa dell’economia durante la pandemia del covid19, prevedeva 57 mld di euro da versare nelle casse dello stato polacco. Nel 2022, quando con l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, lo spettro della russofobia è tornato ad agitarsi con forza sul versante orientale del vecchio continente, la Polonia si è subito trasformata nel più solido alleato comunitario di Kiev, senza però mutare atteggiamento nei confronti delle istituzioni europee, da sempre guardate con sospetto e distacco. Il tema del conflitto tra Russia e Ucraina rappresenta infatti l’altro grande convitato di pietra di queste elezioni polacche e non coinvolge soltanto l’Ue ma chiama in causa direttamente la Nato e gli Stati Uniti dal momento che, sotto il profilo strategico e militare, Varsavia rappresenta il principale artefice del contenimento americano della Russia sul versante orientale.

Tuttavia, le ultime dichiarazioni del premier polacco Morawiecki sullo stop degli aiuti militari ai fratelli ucraini, accolti a frotte nel corso di questi mesi mentre fuggivano dalla guerra nel loro Paese, hanno fatto vacillare l’unità del fronte pro-Ucraina. Ufficialmente, la decisione di Varsavia riflette la volontà dei leader del PiS di aumentare le spese militari per costruire uno degli eserciti più forti d’Europa, in relazione al rischio che la guerra russa in Ucraina possa estendersi pericolosamente anche al territorio polacco. E sebbene la Russia non abbia oggi i mezzi per poter invadere la Polonia, e molto presumibilmente nemmeno l’intenzione, è interesse degli esponenti della destra polacca, soprattutto in campagna elettorale, mantenere una postura massimalista nei riguardi di Mosca, bilanciando contestualmente la freddezza nei rapporti con l’Ue per non perdere i benefici economici elargiti da Bruxelles.

Le relazioni con l’Ue e l’idea Polacca di “Europa”

La Polonia è un paese chiave per gli equilibri economici, politici e geopolitici non solo dell’Europa orientale, ma di tutto il blocco occidentale e della tenuta delle relazioni con gli Stati Uniti. Dal 2015, il partito conservatore del Diritto e della Giustizia ha inaugurato una lunghissima stagione di governo nel Paese, facendo scivolare il baricentro della politica nazionale polacca su posizioni sempre più illiberali e autoritarie. Nelle ultime due legislature, il governo conservatore di Morawiecki ha creato diversi problemi a Bruxelles, dimostrandosi sempre critico e riluttante nel collaborare su questioni cruciali per la politica dell’Unione come la distribuzione dei fondi europei, la gestione dei migranti, la tutela dei diritti umani e la riforma della giustizia.

E proprio quest’ultimo aspetto è diventato un punto dirimente nell’aspro confronto tra Varsavia e Bruxelles. La dimensione politica assunta dal conflitto relativo alla riforma del sistema giudiziario polacco divenne evidente il 19 ottobre del 2021 quando nella seduta del Parlamento europeo la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il premier polacco Morawiecki ebbero un duro scontro verbale, innescato, tra le altre cose, dal pronunciamento della Corte costituzionale polacca del 7 ottobre che aveva giudicato alcune norme dell’Ue confliggenti con la costituzione della Repubblica polacca, stabilendo una supremazia della legislazione nazionale sui trattati europei. In quell’occasione von der Leyen mise in guardia Varsavia sulla possibilità che l’Ue decidesse di penalizzare la Polonia rispetto all’utilizzo dei fondi del Pnrr mentre Morawiecki si schierò saldamente dalla parte del suo governo aprendo una netta spaccatura nel parlamento polacco con il gruppo dei conservatori e riformisti contrapposti ai popolari e alla sinistra.

Nel 2022, la Commissione europea approvò, dopo mesi di ritardo, le sovvenzioni per i miliardi destinati alla Polonia dal Pnrr, vincolando la disponibilità dei fondi alla riforma del sistema giudiziario da parte di Varsavia. Da Bruxelles pretendevano che il governo conservatore rettificasse la «legge museruola» vagliata frettolosamente nel dicembre del 2019 ed entrata in vigore il 14 febbraio 2020 dopo essere stata respinta dal senato polacco ma approvata dalla Sejm (la camera bassa del parlamento). In risposta alle richieste dell’Ue, il governo di Varsavia si limitò a fare delle modifiche non sostanziali all’impianto normativo, continuando a ignorare 20 sentenze della corte dell’Ue e mantenendo all’attivo almeno 1700 giudici nominati illegalmente secondo i trattati europei. In quell’occasione, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tentò di mediare con il premier Morawiecki recandosi personalmente a Varsavia per formalizzare l’approvazione del Piano dei finanziamenti del Pnrr, ottenendo dalla Polonia la disponibilità per l’accoglienza dei profughi e il sostegno politico e militare alla causa ucraina. Le decisioni della Commissione europea sui fondi del Pnrr polacco scatenarono però il risentimento della Germania che attraverso l’eurodeputato Daniel Freund, puntò il dito direttamente su von der Leyen, colpevole secondo Berlino di aver sacrificato lo stato di diritto dell’Ue consegnando alla Polonia miliardi di finanziamenti senza sapere dove questi sarebbero finiti. Pur rappresentando soltanto una delle molteplici declinazioni dello scontro tra Polonia e istituzioni comunitarie, la disputa sulla riforma della giustizia polacca consente di inquadrare nitidamente un corto circuito in atto da sempre tra i diversi attori nazionali che popolano il continente europeo: il bilanciamento tra le posizioni antieuropeiste in difesa di un massimalismo nazionalista da un lato e la necessità di collocarsi all’interno delle istituzioni europee per offrire al popolo polacco un ‘posto al sole’ nella storia occidentale dall’altro. Aspetto, questo, che continuerà con molta probabilità a essere cruciale nella traiettoria politica della Polonia anche dopo queste elezioni.

Dal canato loro, i conservatori del PiS sono infatti fermamente convinti che un’integrazione indifferenziata di Varsavia nello schema comunitario indebolirebbe pericolosamente l’azione di contenimento della Polonia ai danni di Mosca poiché il pensiero europeista mainstream proveniente direttamente da Bruxelles non è in grado di comprendere fino in fondo le reali necessità di Varsavia e del popolo polacco. La parabola politica polacca è costruita ancora oggi sulla concreta paura dell’invasione russa, aspetto questo che ha sempre spinto Varsavia ad avere un’altissima immagine di sé come alfiere dei valori occidentali ed europei che la vecchia Europa a trazione franco-tedesca sembrerebbe aver dimenticato. Il fatto stesso che in Polonia la faida apertasi tra i leaders delle due principali coalizioni politiche si sia concentrata intorno al ‘nodo Europa’, declinato in tutte le sue molteplici sfumature, aiuta a comprendere il modo in cui Varsavia guarda al progetto europeista: per i polacchi, l’Ue rappresenta soltanto una provincia, piuttosto caotica, di un occidente a guida statunitense mentre l’Europa reale, ossificata nelle istituzioni comunitarie, è soltanto un guscio che serve gli stati membri che la fecondano per servirsene.

Il futuro delle relazioni con la Germania oltre la retorica antitedesca

Come accade per ogni campagna elettorale degna di questo nome, anche in quella polacca, gli attori in campo tendono sempre a esasperare i toni, rilasciando dichiarazioni piuttosto nette e sprezzanti che molto spesso hanno una forte risonanza anche al di fuori dei confini nazionali. E proprio in questa direzione sembrerebbero andare anche le ultime parole proferite da diversi esponenti del partito di governo polacco nei confronti della Germania, accusata di ingerenze nella politica del governo di Varsavia, dalla gestione dei migranti al tema dell’approvvigionamento energetico.

La leadership populista del PiS ha ribadito che Berlino starebbe complottando per riportare al potere il principale avversario elettorale del partito, l’ex primo ministro liberale Donald Tusk. L’obiettivo dichiarato dei conservatori è chiaramente quello di capitalizzare al meglio il sentimento di forte sfiducia nei confronti della Germania ancora presente in una parte dell’elettorato polacco, soprattutto nei conservatori più anziani che ricordano la devastazione della Seconda guerra mondiale. Ma la diffidenza di Varsavia per Berlino passa anche per Mosca: in passato Russia e Germania hanno rivendicato come propri alcuni dei territori polacchi e l’ultima volta che tedeschi e russi strinsero un’alleanza militare, la Polonia venne smembrata e cancellata dalla mappa d’Europa.

Sul versante tedesco, oggi la situazione è totalmente diversa: la Germania è un membro di peso dell’Ue e non suscita più il timore delle armi come in passato. Il livore che buona parte della popolazione polacca nutre nei confronti di Berlino è legato sostanzialmente al paternalismo economico di Berlino che è il fulcro dal quale si propagano le principali decisioni politiche del blocco europeo, spesso in sintonia con l’asse francese. E sebbene la guerra tra Russia e Ucraina sembrasse l’occasione giusta per risolvere le controversie fra Berlino e Varsavia, in vista di un potenziale superamento delle asimmetrie che hanno caratterizzato il loro rapporto negli anni, per volgerlo finalmente in partenariato, ad oggi le cose non sono andate esattamente così.

Nel 2022, in occasione dell’83° anniversario dell’invasione tedesca della Polonia, il viceministro degli Esteri polacco Arkadiusz Mularczyk aveva presentato al Sejm il Rapporto sulle perdite subìte dalla Polonia a causa dell’aggressione e dell’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale. Iniziato nel 2017 e curato da una commissione parlamentare guidata dallo stesso Mularczyk, il Rapporto aveva stimato una perdita equivalente a 6.220 miliardi di złoty (1.300 miliardi di euro). Il 14 settembre la Camera bassa del Parlamento polacco aveva approvato con una maggioranza schiacciante la risoluzione con cui Varsavia chiedeva formalmente a Berlino di corrispondere l’intero importo. La decisione del governo polacco non seguiva una logica di rivalsa puramente economica nei confronti dell’ex bellicoso vicino, quanto piuttosto il tentativo di arrivare a stabilire una vera e propria riconciliazione polacco-tedesca, come sottolineato anche dal leader del PiS, Kaczynski.

Dal 2015, da quando è salito al Governo, il partito Polonia Legge e giustizia ha sempre sostenuto la questione delle indennità di guerra evocando il “dovere morale” della Germania nel rispettare le volontà di Varsavia. Ma da Berlino hanno fatto sapere che consideravano la faccenda chiusa e che quindi non ci sarebbe stato nessun ulteriore risarcimento. In realtà, tra i due governi non c’è mai stata una vera trattativa sul tema; inoltre, i due Paesi vantano buoni rapporti commerciali e Berlino è il principale partner di Varsavia che verosimilmente non ha alcuna intenzione di guastare i consolidati legami economici con il suo vicino. Molto più prosaicamente, il PiS aveva scelto di politicizzare un argomento, ancora piuttosto popolare fra i polacchi, a tal punto che anche il principale partito di opposizione, Piattaforma Civica, si era deciso ad appoggiare.

A remare contro una stabilizzazione alla pari delle relazioni tra Berlino e Varsavia, contribuisce poi il fatto che attualmente in Germania vi sia un governo di centrosinistra che è per cultura politica lontanissimo dalle posizioni del PiS in materia di sicurezza, sovranità e gestione dei migranti. Ciò nonostante, la Germania e la Polonia, da alleati nella stessa regione dell’Europa centrale, condividono una responsabilità nel mantenere rapporti di buon vicinato e una positiva collaborazione europea e transfrontaliera che si muove da anni tra alti e bassi.

In merito alla questione sul sostegno militare a Kiev, ad aprile i ministri della difesa di Berlino e Varsavia avevano annunciato la creazione di un hub congiunto in Polonia per riparare i carri armati Leopard di fabbricazione tedesca danneggiati in battaglia in Ucraina. Ma l’accordo era rapidamente scemato. Ufficialmente a causa dei costi di riparazione giudicati troppo altri da Barlino. Tuttavia, una fonte vicina al governo Scholz aveva rivelato che tra i punti critici c’era la riluttanza delle aziende tedesche a condividere informazioni tecniche con la controparte polacca. Da quando è iniziata la campagna elettorale, le schermaglie tra i due governi sono all’ordine del giorno: recentemente, il leader de facto del PiS, il vicepremier Kaczyński ha rincarato la dose accusando ripetutamente l’avversario del PiS, Donald Tusk, di progettare la vendita di aziende statali a investitori tedeschi, definendolo un tirapiedi di Berlino. Con le sue invettive contro la Coalizione Civica, il vecchio architetto della destra polacca voleva chiaramente colpire l’ingombrante vicino, indaffarato a gestire il vuoto di potere creatosi al centro dell’Europa, trascinandolo direttamente nell’agone elettorale polacco.

Infine, è bene non dimenticare che l’atteggiamento aggressivo del PiS e dei suoi alleati, anche nei confronti di Berlino, è in buona parte dovuto al timore che i rappresentanti della destra polacca hanno iniziato a nutrire nei confronti di un terzo incomodo che ha fatto irruzione nella campagna elettorale polacca, il partito di estrema destra Confederazione, Libertà e Indipendenza, fondato all’alba delle elezioni europee del 2019 e dato attualmente intorno al 10% nei sondaggi. In sostanze, la paura del PiS di Kaczynski è di essere superato a destra da questa formazione su molti temi caldi al centro della campagna elettorale (dai migranti, alla questione securitaria dei confini, passando per le relazioni diplomatiche con Berlino). Se ciò accadesse, la Confederazione potrebbe sottrarre dei voti all’attuale coalizione di governo, agevolando Tusk e a sua forza politica ma soprattutto infiammando ulteriormente i toni con l’Ue e i vicini tedeschi, cosa che invece l’attuale forza di governo andrebbe sicuramente a normalizzare qualora fosse riconfermata per la terza volta alla guida del Paese.

Tommaso Di Caprio

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