Erdogan e il fallito golpe. Meno Ataturk, più Solimano

 

Il presidente turco reagisce con durezza al tentativo di golpe fatto da alcuni settori militari. Arresti, torture, licenziamenti e censure hanno già epurato una grossa parte delle istituzioni pubbliche turche. Giudici, poliziotti, militari e giornalisti stanno pagando il loro appoggio al tentato golpe e/o il far parte dell’opposizione politica ad Erdogan, da destra a sinistra. Il presidente decide che la via del potere e della società sarà quella della religione, dimenticando l’opera laicizzante del “padre dei turchi” Mustafa Kemal.

 


La notte del 15 Luglio un nutrito gruppo di militari ha preso d’assalto i palazzi governativi. Il presidente Erdogan inizialmente forse in fuga è riuscito a convincere i suoi sostenitori a scendere in strada e fermare i militari golpisti. Ottenuto il successo, al suo rientro in patria ha cominciato a punire i golpisti e a scardinare lo stato di diritto in nome dei momentanei beni superiori rappresentati dalla sicurezza e dalla stabilità delle istituzioni. Sono stati arrestati e licenziati militari, giudici, poliziotti e funzionari in numero sempre crescente. A subire il pugno duro di Erdogan ci sono anche oltre ai golpisti, i settori sociali che rappresentano da qualche anno l’opposizione ad Erdogan, come molti giornalisti e professori.

Aldilà della teoria, più o meno realista apparsa in alcuni giornali italiani, dell’auto-golpe organizzato da Erdogan per giustificare le epurazioni che ne assicurerebbero il potere, vanno indagate le possibili conseguenze del “nuovo” cammino che la Turchia potrà intraprendere.

Il fallito golpe ha alterato le già turbolenti relazioni internazionali turche.

Il presidente Erdogan infatti addita come organizzatore del golpe un suo avversario politico, Fethullah Gulen, politico e predicatore islamico, di cui una volta fu alleato, essendo entrambi appartenenti alla parte conservatrice della politica turca, di cui condividono l’avversità verso la sinistra e i partiti di ispirazione socialista, ma che risultano differenti nelle modalità di gestione dello stato. La grande influenza che il movimento di Gulen possiede tra i membri di polizia ed esercito ha indotto Erdogan, qualche anno fa a descriverne i seguaci come “Uno Stato nello Stato”. Non c’è da sorprendersi quindi se il presidente accusa proprio Gulen di essere la mente dietro il tentato golpe, e chieda al governo degli Stati Uniti la sua estradizione, infatti Gulen vive proprio negli USA, in una specie di auto-esilio, voluto probabilmente per rimanere lontano dai metodi spicci di Erdogan nel relazionarsi con i propri oppositori. La negazione dell’estradizione di Gulen potrebbe essere un fattore decisivo per gli equilibri della regione, con la permanenza della Turchia all’interno della NATO mai come adesso messa in discussione.

Erdogan infatti sta provando a ricucire il rapporto diplomatico con la Russia, che negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scoppio della guerra civile siriana con tutte le sue conseguenze internazionali, si è fatto sempre più teso e pesante, fino all’abbattimento dell’aero militare russo, costato la vita al pilota, che rappresenta sicuramente il punto più teso delle relazioni tra i due paesi.
Il prossimo viaggio ufficiale di Erdogan, avvenuto il 9 Agosto, ha avuto come destinazione proprio la Russia, dove si è parlato di sicurezza in termini militari ma anche di possibili gasdotti (il Turkish stream) che attraverso la Turchia porterebbero il gas russo in Europa.
Ogni potere militare deve comunque essere sostenuto da un potere economico, altrimenti il fallimento è quasi inevitabile.

Un cambio di politica estera da parte della Turchia può comportare profondi cambiamenti nella situazione mediorientale, a cominciare proprio dalla situazione siriana, che potrebbe prendere definitivamente la piega della vittoria delle truppe filo-governative di Bashar Al Assad sui ribelli, a cui verrebbe mancare un appoggio importante come quello della Turchia. La recente dichiarazione di Assad con cui promette un indulto per i ribelli che deporranno le armi, sembra far intuire che l’ago della bilancia siriana stia pendendo in favore di quest’ultimo.

Nel frattempo per riprendere il controllo dell’interno del paese Erdogan sospende la Convenzione sui Diritti Umani e pensa di riformare il sistema educativo pubblico impregnandolo di islamismo e precetti religiosi, facendo regredire il processo di secolarizzazione iniziato il secolo scorso da Mustafa Kemal, conosciuto come Ataturk (padre dei turchi), che ha portato alla formazione dello Stato turco moderno. Questo tipo di riforme di stampo religioso non devono però sorprendere.

Il progetto infatti di Erdogan, su cui molti analisti concordano, è quello di riportare la Turchia allo splendore e alla grandezza che aveva durante l’Impero Ottomano, quando le truppe di Solimano (sultano ottomano tra il 1520 e il 1566) terrorizzarono l’Europa arrivando ad assediare Vienna.

Per ricostruire un simile potere (il vastissimo impero comprendeva l’intera penisola balcanica, l’Anatolia, il Medio oriente e il Magreb) Erdogan sa bene che non basta la retorica dello stato-nazione, ma si necessita qualcosa di più potente e profondo, capace di attraversare le frontiere e far sentire le persone appartenenti ad una comunità unica più vasta come quella rappresentata dalla religione islamica, la cosiddetta «Umma» cioè la grande comunità dei fedeli del profeta Maometto.
Un tale progetto, sicuramente ambizioso ma forse anacronistico, non può essere di facile realizzazione nonostante alcuni buoni punti di partenza.

I punti a favore di Erdogan sono:

  • che non sarebbe la prima volta che la Turchia fa da leader del mondo musulmano;
  • che del mondo islamico la Turchia è una delle nazioni più sviluppate, sia in senso civile che in quello militare;
  • che nel contesto del “Clash of Civilization” teorizzato da Huntington, un blocco unico islamico è un’attrattiva molto suggestiva per i musulmani, infatti una simile ambizione è quella appartenente all’auto-proclamato Stato Islamico del Califfo Al Baghdadi (alcuni maligni analisti potrebbero pensare che dietro le teorie del califfato ci sia la longa manus turca, alla luce anche dei sospetti rapporti tra militari turchi e membri dell’ISIS lungo il confine turco-siriano dove pare avvenga la vendita sottobanco del petrolio estratto dai pozzi controllati dai miliziani del califfo).

Le difficoltà però sono altrettanto poderose.

In primo luogo, un isolamento internazionale a cui potrebbe esporsi la Turchia nel caso continui con la violazione dei diritti umani renderebbe difficile il reperimento delle risorse necessarie a supportare il progetto (questo dipenderà ovviamente dall’effettiva attenzione che i partner commerciali della Turchia riserveranno ai diritti umani);

In secondo luogo, nella società moderna, per quanto sia importante, la religione non è la sola guida, più che mai in Turchia dove l’eroe nazionale rappresenta anche un eroe di laicità. Da qui la facile previsione che Erdogan incontrerà una forte opposizione interna, non solo rappresentata dalla società laica, ma anche dalla parte moderata del pensiero islamico, di cui ad esempio  Fetullah Gulen può essere considerato un rappresentante.

In terzo luogo, il progetto di egemonia turco sul mondo musulmano incontrerà necessariamente le resistenze di altri paesi a maggioranza musulmana che difficilmente digeriranno l’idea di essere comandati da Ankara o da Istambul. Iran, Arabia Saudita, Egitto sono solo alcuni esempi dei paesi che dispongono di un potere interno ed esterno abbastanza solido per non dover scendere a compromessi con un ipotetico blocco regionale a guida turca.

Il “sultano” in ogni caso ha lanciato il dado, adesso dipenderà dai complessi giochi di potere internazionale e religioso la direzione che la storia prenderà nella regione mediorientale ma che avrà influenza sul mondo intero.

Dott.Giuseppe diFrancesco

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *