Siria, lo spettro di un Paese (semi)distrutto


Nella notte del 6 febbraio 2023 un violento sisma di magnitudo 7.8 si è verificato tra la Siria e la Turchia. Le scosse si sono susseguite nel corso delle ore e hanno distrutto centinaia di edifici, causando migliaia di morti e feriti mentre per le persone che sono sopravvissute sotto le macerie si è urlato al miracolo. Questo terremoto ha colpito uno dei paesi che da oltre dieci anni vive una situazione alquanto instabile: la Siria. Vediamo alcuni aspetti cruciali del conflitto, le potenze e gli interessi in campo, e infine il duplice senso degli aiuti internazionali.


Quella scritta sul muro di Dar’a

Nel 2011, a sud ovest della Siria nella città di Dar’a, un gruppo di giovani scriveva su un muro la seguente frase: “Ora tocca a te, Dottore”. Questo messaggio era riferito al presidente siriano Bashar al-Assad, dottore in medicina oculistica, e seguiva quello spirito diffuso in Nord Africa e Medio Oriente dal nome “Primavere Arabe”. Si trattò di una serie di rivolte contro i governi dei paesi arabi verso i quali il popolo chiese una maggiore apertura in termini di libertà. Queste rivolte si diffusero a macchia d’olio nelle principali città siriane. Il governo, tuttavia, sedò le agitazioni nel sangue. Questa azione cambiò il volto della protesta che da manifestazione pacifica diventò un conflitto armato, in cui le parti (i sostenitori del governo sciita e l’opposizione sunnita) si contesero gli interessi in gioco. Il conflitto si inasprì quando, insieme alle potenze internazionali, intervennero anche le forze jihadiste con l’obiettivo di instaurare il fondamentalismo islamico in Siria. Essi riuscirono addirittura a coinvolgere milizie provenienti da altri paesi.        

I motivi che hanno spinto le parti internazionali ad intervenire nel conflitto sono diverse. Di seguito, ne inquadriamo essenzialmente tre: geostrategica, economica e di sicurezza internazionale.
In Siria, la Russia possiede due basi militari: la base aerea di Hmeimim situata a sud della città di Latakia e la base navale di Tartus sulla costa orientale. È proprio su quest’ultima che dovremmo prestare attenzione.

Durante la Guerra Fredda, la Siria e l’Unione Sovietica erano alleate e il porto era stato costruito per dare assistenza alle navi sovietiche. Nel 2017, i rispettivi governi hanno firmato un accordo che ha previsto “l’espansione del territorio portuale di Tartus per fini logistici”. Qualche anno prima, durante un’intervista, il presidente Bashar al-Assad ha dichiarato che un’espansione russa sulle coste orientali sarebbe stata accolta con favore dal governo siriano poiché avrebbe promosso “una stabilità nella regione” (“The presence of Russia in Syria according to the Barakah Circle Theory: the Tartus naval base”, p.194).

La base navale di Tartus rappresenta ancora oggi un punto geostrategico per Mosca, sostenuto da due vantaggi: in primo luogo, le correnti del Mediterraneo sono calde e permettono una navigazione agevole a differenza dei mari del Nord che durante l’inverno gelano; in secondo luogo, il porto funge da alternativa vicina rispetto ai porti nel Mar Nero che dal Mediterraneo possono essere raggiunti solo attraverso il Bosforo, una via spesso ostacolata da “correnti contrarie e navi più lente che obbligano le altre ad operazioni di manovra” (Rif. Navigare negli stretti dei Dardanelli e nel Bosforo, a cura del Comandante Antonio Cherchi, Quaderni marini).

Le terre del Medio Oriente sono caratterizzate da una concentrazione di risorse naturali che nei secoli hanno attirato l’interesse dei mercati stranieri. I paesi di quest’area che desiderano avere scambi commerciali con l’Europa debbono navigare il canale di Suez per accedere al Mediterraneo. I paesi del Medio Oriente per accedere ai porti siriani dovrebbero chiedere un permesso a Damasco; tuttavia, ciò potrebbe costituire un problema per Mosca.

Infine, l’azione messa a punto dall’Occidente è stata quella di contrastare le operazioni di terrorismo (sviluppatesi nell’area al-Sham), a tutela della sicurezza internazionale,dal momento che hanno avuto un riflesso anche in Europa.

Le tragedie accadono di notte
Nella notte del 6 febbraio 2023 un violento sisma di magnitudo 7.8 si è verificato tra la Siria e la Turchia. A questo sisma si sono susseguite altre scosse altrettanto potenti che hanno lasciato il popolo con il fiato sospeso. Oggi, si contano migliaia di morti, feriti ed infrastrutture distrutte che hanno reso difficile le operazioni dei soccorsi. Le conseguenze di questo evento si sono unite a quelle di una guerra intestina che perdura da più di dieci anni, aumentando un bilancio già drammatico. Un’immagine che esprime tutto il dolore del suo popolo.           

Dall’inizio della guerra, l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha dichiarato che “più di 13 milioni di persone” sarebbero fuggite dal proprio paese, trovando un riparo nelle zone limitrofe e che non ne vorrebbero fare ritorno. I motivi sono diversi. In primo luogo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito a sollecitare le parti a negoziare, le risoluzioni sono cadute nel vuoto a causa del veto russo e ancora oggi il confitto è in corso.

Durante il conflitto le parti non avrebbero rispettato le norme del diritto umanitario spingendo così la comunità internazionale ad indagare. Il governo riconosce come disertori colore che, chiamati a svolgere il servizio militare e ad arruolarsi, si sono rifiutati di farlo; per questo motivo, molte persone temono ritorsioni. A dicembre 2022, Bashar al-Assad ha esteso la possibilità per i disertori di arruolarsi entro tre mesi, al termine del quale il loro rifiuto sarebbe stato considerato un reato punibile. Infine, la recessione economica dal paese non permetterebbe alle persone di condurre una vita dignitosa.
A questo punto ci chiediamo come il presidente pensa di risollevare un paese martoriato due volte: prima dalla guerra e poi dal terremoto. Egli potrebbe vedere proprio in quest’ultimo, un motivo per farlo.

Gli aiuti internazionali come mezzo politico

Le agenzie umanitarie, una volta venute a conoscenza del sisma, sono subito intervenute per dare assistenza alle persone in difficoltà. Le città colpite dal sisma sono anche quelle che pagano le conseguenze del conflitto. La comunità internazionale riconosce per ogni crisi umanitaria un livello di gravità e alla crisi siriana è stato attribuito il grado 3 (il più alto) ossia luoghi del mondo e situazioni annesse che hanno bisogno di un intervento umanitario tempestivo e costante.
La questione degli aiuti potrebbe rivelarsi una cartina al tornasole per la politica siriana. Le motivazioni sono diverse. Innanzitutto dobbiamo considerare due fattori: 1) raramente le relazioni internazionali si costruiscono sulla bontà d’animo; 2) “a livello internazionale, i governi sono i principali donatori di assistenza umanitaria” (Rif. Il valore dell’aiuto: risorse per la risposta alle emergenze umanitarie, Agire Onlus, 2015, p.14).

Per ricostruire servono grosse somme di denaro, che andremmo poi investite. È proprio attraverso gli aiuti che si potrebbero riflettere le amicizie di Damasco. Il governo di Mosca, ad esempio, potrebbe intervenire sia per il legame storico, sia per gli interessi militari che ha nella regione.
La Siria potrebbe ricevere inoltre un aiuto dall’Iran, paese montuoso e senza sbocchi diretti sul Mediterraneo. Tale assenza gli impedisce di esportare le proprie risorse energetiche. Un sostegno alla Siria oggi, potrebbe portare, ad uno slancio da parte governo siriano in futuro per l’uso dei suoi porti (fermo restando il favore del governo russo). Inoltre, sia la Siria che l’Iran tenderebbero a contenere una volontà indipendentista dei curdi (Rif. Medio Oriente e Nord Africa: i curdi un popolo senza Stato, Zanichelli editore).     

Anche la Cina potrebbe intervenire, per due motivi connessi tra loro: l’equilibrio dell’area per agevolare la Nuova Via della Seta, ossia il recupero del progetto economico che vorrebbe unire il mercato cinese con quello europeo e africano. Gli imprenditori cinesi starebbero considerando di investire sull’oro blu, ossia l’acqua, per la costruzione di centrali idroelettriche in Africa (per saperne di più: “Mali: finanziata dalla Cina, la centrale idroelettrica di Gouina entra in servizio”).       

In conclusione, il conflitto siriano ancora non si è definitivamente concluso. Sin dal suo inizio ha rappresentato un coacervo di attori nazionali e internazionali con interessi confessionali, strategici, economici e sociali. A maggio 2021, Bashar al-Assad è stato rieletto alla presidenza per ulteriori sette anni. Ci chiediamo quindi quali saranno le sue prossime mosse, soprattutto se vedremo nascere nuove alleanze.

Monica Mei

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