Il ritorno della politica dell’identità etnica in Europa. Preludio della fine della pace comunitaria?

Il continente europeo – e le sue varie nazioni e rispettivi popoli – è forse il luogo sulla terra che ha registrato il maggior numero di guerre tra e all’interno delle nazioni nella storia dell’umanità.


   Nel corso della loro storia, gli europei hanno combattuto gli uni contro gli altri per una serie di motivi, che vanno dalla dominazione territoriale e ideologica (ad esempio la battaglia di Maratona nel 490 a.C. o quella di Termopoli nel 480 a.C. tra Persiani e Ateniesi), invasione e occupazione straniera (come l’invasione e la sottomissione di Atene da parte di Roma nell’89 a.C.); le guerre religiose tra cristiani e protestanti, come la famosa guerra dei trent’anni tra il 1618 e il 1648; o la prima guerra mondiale dal 1914 al 1918, causata, tra vari motivi, dal dominio delle rotte commerciali marittime tra l’allora potenza marittima (Regno Unito) e la più assertiva Germania di Guglielmo II, che era contrario alle posizioni meno conflittuali del cancelliere Otto von Bismarck, che era stato esonerato dal suo incarico dopo la successione de facto al nonno Guglielmo I, morto nel 1888, 17 anni dopo l’unificazione tedesca.

   Se da un lato, la prima guerra mondiale segnò il culmine dello scontro per l’egemonia in Europa (e nel mondo attraverso le sue colonie in Asia, America e Africa) tra le due parti contendenti, costituite da alleanze formate, da una parte, dal Regno Unito, Francia e Russia, e dall’altra Germania, impero austro-ungarico e impero ottomano – in aggiunta ad altri stati associati con entrambe le alleanze – dall’altro lato, la seconda guerra mondiale potrebbe anche essere stato il risultato di una politica di identità etnica, in particolare in Germania, aggravata e/o sostenuta dal pesante fardello delle indennità e riparazioni territoriali che Berlino doveva osservare nei confronti dei paesi vincitori, in particolare la Francia, che riacquistò le regioni dell’Alsazia e Lorena, fino ad ora occupata dal secondo Reich.

   La straordinaria ascesa al potere di Hitler in Germania nel 1933 fu anche grazie al suo discorso nazionalista, populista, patriottico e di elevazione della storia tedesca e unicità verso i suoi avversari, che riecheggiarono fortemente tra le popolazioni che affrontavano, all’epoca, la vita difficile e la disperazione sociale scaturite dalla crisi del 1929. La crisi economica e sociale vissuta dai tedeschi è stata quindi una forza trainante sia per questo tipo di discorso che per l’acuirsi della politica dell’identità etnica-razziale, che negli anni 30 e 40 fecero molte vittime tra ebrei tedeschi e altri di varie nazionalità. Una simile politica ebbe luogo anche in Italia durante il regime di Mussolini, con l’approvazione delle leggi razziali del 1938 e la protezione della cosiddetta “razza ariana italiana”, che vietava, ad esempio, matrimoni tra italiani ed ebrei o tra italiani ed africani (in particolare dall’Etiopia, che era stata invasa dal regime italiano nel 1935), oltre all’espulsione dalla pubblica amministrazione italiana degli italiani ebrei.

   Di conseguenza, si può dire che l’attuale periodo di pace in Europa sia recente, all’incirca della stessa età della sovranità degli Stati africani indipendenti, vale a dire 60 anni, ad eccezione della guerra dei Balcani risultante dalla “fine” della Guerra fredda e il complesso collasso della Jugoslavia, che era una federazione formata, nel 1946, da sei nazioni distinte in etnia e religione e guidata da servi, sia durante che dopo l’era di Tito.

   Questo periodo di pace in Europa, o se volessimo pax europea, coincise con l’umanizzazione delle relazioni ufficiali tra stati confinanti (ad eccezione dei rapporti con la Russia, per ragioni non elencate qui); con il rafforzamento dello stato non nazionale ma liberale, con la conseguente difesa e promozione dei diritti umani e dell’economia di mercato, favorendo il commercio e l’eliminazione di tasse e dazi sui prodotti dei paesi vicini, e l’abolizione delle frontiere attraverso l’accordo di Schengen del 1995. Come si vede, questo processo di umanizzazione delle relazioni tra europei ha coinciso e/o è derivata dalla creazione di istituzioni europee comuni, dalla CECA (1951) alla formalizzazione della stessa Unione europea, con tutti i suoi organi, attraverso il trattato di Maastricht del 1993.

  Durante questa fase l’Europa viveva anche in relativa armonia con gli immigrati che vi si rifugiavano da vari focolai del conflitto militare, specialmente in Africa. Proprio in questo periodo è stato istituito l’accordo di Dublino che disciplina la politica di asilo sul continente e oltre.

   Il successo dell’integrazione europea e la prosperità della sua gente hanno anche ricevuto un notevole riconoscimento quando ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2012.

   Tuttavia negli ultimi anni, l’Europa sembra vivere lo spettro degli anni 30, non tanto dall’ascesa al potere dei partiti nazisti, fascisti, salazaristi e franchisti, ma dalla metamorfosi di partiti conservatori che assumono e diffondono discorsi populisti, neo-nazisti e neofascisti nelle principali democrazie parlamentari europee. Sono noti partiti politici di estrema destra che fanno campagna elettorale promettendo la chiusura di frontiere o porti all’immigrazione e ai richiedenti asilo; partiti politici che sembrano dimenticare la storia recente dell’Europa stessa, che a seguito delle due guerre mondiali ha visto milioni di europei rifugiarsi nelle Americhe e in Africa; che ricordano molto la retorica usata da Hitler e Mussolini contro i cosiddetti tedeschi o italiani della razza non ariana. Oggi, il partito tedesco AFD, anti-immigrazione, di estrema destra, nazionalista e populista è la terza forza politica del paese, un fatto che non si era più visto dalla fine del terzo Reich, e ben rispecchia il quadro delle ideologie odierne nel continente.

   Come conseguenza immediata della politica dell’identità etnica, riassunta in queste massime come “prima gli Italiani”, riflesso di “America First” di Trump, vi è l’aumento del senso di insicurezza all’interno della comunità di espatriati, soprattutto africani, e del sentimento xenofobo in alcune società europee, in particolare in Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), che rifiutano di attuare la politica europea sulle quote di immigrazione che ogni paese membro dovrebbe osservare. In Italia, ad esempio, sono stati uccisi due africani dopo le elezioni del 4 marzo 2018, che hanno portato ad un governo di un partito di estrema destra (Lega) e del populismo moderato (M5S), che durante il mese di giugno ha bloccato i porti italiani ad una nave che trasportava 700 immigrati salvati sulla costa libica, un caso che sembra aver scioccato il mondo civilizzato. La nave Aquarius è stata finalmente salvata dalla Spagna. Tuttavia, l’attuale governo italiano continua con la sua crociata contro l’immigrazione, e dal momento che ha deciso di mantenere chiusi i suoi porti, almeno un centinaio di africani hanno perso la vita nel Mediterraneo nei primi giorni del luglio 2018.

   Oltre a ciò, v’è la triste scena che i leader europei stanno facendo in questo momento, che sembrano sempre più in disaccordo, ognuno che cerca di mantenere e difendere i propri interessi di partito e la leadership del governo, cercando a tutti i costi di evitare posizioni pubbliche che mettono in pericolo il successo nelle prossime elezioni del Parlamento europeo, che si terranno nel maggio 2019. In questo, v’è l’accordo in extremis tra il cancelliere Angela Merkel e il ministro degli interni, che è anche leader del partito CSU, parte del governo di coalizione tedesco, che per rimanere nel governo e di conseguenza evitare le elezioni anticipate, ha preteso dalla Merkel il ripristino del controllo delle frontiere con l’Austria, la recente visita di Victor Orban, premier ungherese, a Berlino, questo era irremovibile nel difendere la sua linea dura di controllo del confine con i paesi vicini, in particolare con la Serbia.

   D’altra parte, la ripresa del confine tra Germania ed Austria sembra anche incoraggiare un maggiore controllo tra Italia e Austria nella regione del Brennero e tra Italia e Francia nell’area di Ventimiglia dove sono già soggetti a perquisizioni che includono veicoli di italiani che vanno in Francia, per evitare che portino immigrati nel territorio francese.

   È interessante notare che, attraverso questa politica di identità etnica a danni degli immigrati, soprattutto di origine africana, più noti per essere di razza nera (in contrapposizione ad un siriano o iraniano, che non suscitano lo stesso impatto nelle loro propagande mediatiche), vi è una percezione di un graduale processo di eliminazione o frammentazione di diversi elementi strutturali che assicurano l’esistenza dell’Europa come la conosciamo oggi: lo Schengen (per via della ripresa dei controlli delle frontiere), la solidarietà istituzionale europea (gli interessi dei partiti sono più forti dei comunitari), diritto umanitario e di asilo (la revisione dell’accordo di Dublino).

   Così come gli Stati Uniti hanno resistito al crollo, nel diciannovesimo secolo, eliminando la schiavitù, l’Europa resiste, grazie al suo umanesimo, verso i più bisognosi indipendentemente dalle loro origini. In un momento in cui il controllo e il rimpatrio degli immigrati, regolari o irregolari, diventa la principale politica di propaganda di un governo europeo (ad esempio, il nuovo ministro degli interni italiano pare aver trasferito dall’accoglienza al rimpatrio 42 milioni di euro), la politica europea umana e umanizzante è in declino. Questa “reinvenzione” della politica europea è lo stesso comportamento della politica dell’identità etnica-razziale del passato, con la differenza che questa volta non è più fatta per danneggiare gli ebrei, ma piuttosto gli immigrati per lo più di origine africana, considerando che la rotta balcanica è chiusa a causa dell’accordo firmato tra l’Unione europea e il governo turco nel 2016. Oggi, in logica e in effetti, i neo-non ariani sono gli africani neri.

   In breve, se gli interessi dei gruppi e dei partiti nazionali continueranno ad essere più forti degli impegni europei, si potrà assistere ad un processo graduale di ulteriore indebolimento dei principi fondatori e fondamentali dell’Unione europea, in cui questi partiti, già al potere, pretenderanno la restituzione delle prerogative sovrane in materia economica, monetaria e fiscale, ma anche di sicurezza e difesa che sono ora emanati da Bruxelles, attraverso i trattati di Lisbona 2009. In tal caso, e siccome la storia si ripete, sarebbe la dolorosa fine dell’esperimento più pacifico nella sua storia comune.

   L’unica speranza può essere garantita dai partiti politici di sinistra e liberali favorevoli allo status quo nonché le organizzazioni e i movimenti civici e culturali europei, in contrasto con la Polonia, Ungheria, Austria e Italia, dove l’estrema destra al potere è una preoccupazione crescente per l’Unione europea e per i cittadini comunitari.

 

Dott. Issau Agostinho

 

 

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