Israele, Teheran e la Sindrome di Accerchiamento: comprendere il Medioriente post-Daesh

Carl Von Clausewitz, nel suo celeberrimo libro “Vom Kriege”, sottolinea che la guerra non sia che la continuazione della politica con altri mezzi. Anche se molto si è speculato su quanto uno stratega militare del 1800 possa essere impiegato nello studio di conflitti contemporanei, la sua concezione di guerra come “braccio” della politica, ci può ancora aiutare a comprendere gli avvenimenti internazionali e, in particolare, la situazione tra Israele e Iran.


Nonostante le differenze politiche e sociali (così come anche economiche) tra Tel Aviv e Teheran, i due attori geopolitici hanno un’importante cosa in comune: la Sindrome di accerchiamento. Quest’ultima si può definire la ferrea convinzione di essere perennemente circondati (o, appunto, accerchiati) da nemici. L’Iran ne soffre dall’istaurazione della Repubblica Islamica nel 1979, Israele dal momento esatto della sua nascita. Un “security dilemma” amplificato alla decima, inasprito ancora di più dallo scoppio della crisi siriana.

Se infatti da una parte Israele è rimasta ferma ad osservare come gli avvenimenti siriani si sviluppassero, dall’altra l’Iran è corsa in aiuto dell’alleato storico di Damasco, attraverso sostegno economico e militare, nella guerra allo Stato Islamico e alle postazioni ribelli.

Con la caduta di Raqqa e la dispersione delle truppe fedeli al Califfato, l’influenza iraniana nella regione è andata ad aumentare. In Siria, in particolare, Assad non può che ringraziare lo Stato degli Ayatollah, senza il quale, difficilmente il regime di Damasco sarebbe rimasto in piedi.

I risultati degli sforzi iraniani iniziano a vedersi. Quasi un mese fa, la BBC parlava della costruzione di un impianto militare iraniano permanente nei pressi di Damasco, mentre anche la Turchia (che durante la crisi siriana sedeva all’estremo opposto di Teheran nel tavolo geopolitico), ha incontrato da poco Rouhani, primo ministro iraniano, e l’Ayatollah Khamenei, in relazione alla crisi curda.

Con la sempre minore influenza occidentale nell’area, e con lo spostamento dell’interesse americano verso le vicende nordcoreane e il continente asiatico, Israele ha iniziato a sentirsi sempre meno protetta e sempre più esposta. Il rafforzamento del gruppo paramilitare Hezbollah (affiliato all’Iran) in Libano, e il consolidamento dell’asse Sciita (da Teheran a Beirut, passando da Damasco e Baghdad), hanno sempre più aggravato la Sindrome di accerchiamento israeliana, spingendo l’establishment di Tel Aviv a prendere misure sempre più drastiche.

Il bombardamento missilistico israeliano di dicembre 2017 si colloca, dunque, in un quadro di insicurezza comune e non deve essere preso come evento singolo e distinto, ma come parte di una strategia israeliana contro-offensiva.

In un mondo ideale, continua Clausewitz nel suo “Delle Guerre”, battaglie decisive decidevano le sorti di guerre e di popoli, condannando stati alla vittoria o alla sconfitta. Questo si scontra con il mondo reale, dove strategie e ingegno sono alla base di conflitti che possono durare anni. La questione israeliana rimane centrale nel quadro geopolitico mediorientale e, con il rafforzamento di Teheran, non potremo che aspettarci altre azioni militari e un inasprimento delle tensioni regionali.

Dott. Francesco Pisanò

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