La corsa al riarmo diffuso: sicurezza o minaccia per la stabilità?

La garanzia della pace e della sicurezza di uno Stato è uno dei compiti principali svolto da agenzie governative, di difesa e sicurezza, ed intelligence in concorso con i vari settori della società, dai popolari agli accademici.


 Si tratta di una catena di comando che può essere verticale, partendo dall’alto verso il basso, nella quale si denota la presenza dei rispettivi enti governativi (politico e militare); o orizzontale, in cui la catena di comando può essere di tipo P2P, come nei sistemi informatici, nei quali manca un provider/server nell’interazione dei computer nella rete, i quali sono connessi per lo svolgimento di attività comuni o diverse (ad esempio, nell’ambito di transazioni finanziarie tra due aree geograficamente distanti  l’una dall’altra, soprattutto se l’operazione deriva da un’economia di mercato senza la mano invisibile di un organismo regolatore). Questa catena si caratterizza per la partecipazione generale della rispettiva società civile.

Nel contesto internazionale attuale, in cui gli Stati (in quanto catena verticale di comando) sono gli attori predominanti, la sopravvivenza degli stessi diventa eccessivamente legata ad una sfiducia (in alcuni casi morbosa) relativamente alle intenzioni dei loro partner. Cioè, uno Stato tenderà ad aumentare sempre più la capacità di auto-difesa e difesa collettiva (se si tratta di un membro di un’alleanza simile) come risposta/reazione all’aumento della stessa capacità da parte di un terzo Stato o una terza alleanza. In questo contesto, paradossalmente, il sistema vive in una pace armata, dove un più semplice pretesto (crisi diplomatica o commerciale) può essere sufficiente a scatenare una violenta guerra tra i contendenti.

Il processo di costante riarmo da parte degli stati, un iter proporzionale all’ aumento della produzione e della produttività delle industrie della difesa nel mercato attuale competitivo, rivela un complesso/paradossale rapporto tra la sicurezza e la minaccia alla stabilità su scala globale.

 I dati del 2016/2017 del SIPRI (Istituto svedese specializzato in materia di esportazione e importazione di armi a livello internazionale) rivelano un trend della domanda e dell’offerta di armi in crescita dalla fine della guerra fredda (teoricamente nel 1989).

La relazione di causa ed effetto nell’aumento di questa tendenza è di confusa determinazione, in quanto non è noto se l’aumento dell’offerta di armi è condizionato dall’aumento dei conflitti militari, o se è proprio l’aumento delle vendite di armi che condiziona l’aumento/permanenza di conflitti militari in alcune parti del mondo (ad esempio, l’Arabia Saudita, che interviene militarmente nello Yemen per più di due anni, è stata la principale destinazione delle esportazioni di armi da parte del Regno Unito, il cui valore totale è stato di 5,6 miliardi di sterline dal 2010, con una quota del 7% nel mercato di importazione, secondo al mondo dopo l’India, con una quota del 14%).

Nel complesso, i principali paesi esportatori di armi nel mondo sono curiosamente i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, essendo gli Stati Uniti il più grande esportatore con una quota del 33% del mercato, seguiti dalla Russia con il 23%, dalla Cina con il 6,2%, dalla Francia con il 6% e dal Regno Unito (sesto) con una quota del 4,6%, dietro la Germania, quinta, con una quota del 5,6% nel mercato dell’esportazione di armi.

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Dall’altra parte, a parte l’Arabia Saudita che ha importato più armi in Medio Oriente, il cui incremento è stato del 212% nel periodo 2011-2016, rappresentando, tale regione, la destinazione delle principali esportazioni di armi nel mondo negli ultimi 2-5 anni, essendo che gli Stati Uniti hanno rappresentato il 47% delle vendite, registrando un trend di aumento costante anche per il Qatar (279%), Emirati Arabi Uniti (35%) ed Egitto (37%, lo stato africano che spende di più per le armi).

È interessante notare che, pur essendo i principali esportatori di armi nel mondo, gli Stati Uniti, la Cina e la Russia sono ugualmente impegnati nella crescita del loro budget nel settore della difesa e della sicurezza. Ad esempio, durante il suo discorso al Congresso, il presidente Trump ha annunciato l’aumento di 54 miliardi/USD, circa il 10% del bilancio precedente, mentre la Cina dovrebbe aumentare del 7% rispetto al suo budget precedente stimato in 146 miliardi/USD, 1,3% del suo PIL. Entrambi i paesi sono i principali investitori nel settore della difesa nel mondo e le più grandi potenze rivali nel Pacifico oggi.

Questa corsa degli Stati al riarmo diffuso a livello internazionale, con l’Africa che registra un modesto aumento (grazie a paesi come Egitto, Nigeria, Angola, Algeria e Kenya), se dal punto di vista interno rappresenta una maggiore sicurezza pubblica, integrità territoriale e salvaguardia della sovranità nazionale, è dal punto di vista esterno che suscita serie preoccupazioni, in quanto trasborda l’idea di un sistema che vive nell’eminenza di un’esplosione, rafforzata da una costante rivalità tra gli stessi paesi (nella condizione di esportatore o importatore di armi). Pensiamo, ad esempio, alla rivalità tra gli iraniani (per lo più sciiti) e i sauditi (per lo più sunniti) in Medio Oriente e all’incidenza che ha sul conflitto in Yemen, o per esempio alla rivalità storica tra il Giappone e la Cina nel Pacifico; queste due evidenze suscitano legittime preoccupazioni sul pericolo che recano nel sistema internazionale.

Nel contesto di pace armata, dunque, il riarmo diffuso è una un’arma a doppio taglio, significando stabilità interna, ma anche perplessità esterne, con il rischio di alterare la bilancia della rispettiva sicurezza interna in caso di collasso di questo sistema. E’ qui che l’aumento di sicurezza è sinonimo, simultaneamente, della sicurezza e dell’instabilità.

 

Dott. Issau Agostinho

 

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