La forza di un’alleanza militare di difesa collettiva. Tra mito e realtà


Nel corso della storia universale, innumerevoli alleanze militari sono state formate in opposizione tra loro, consapevoli della massima che ‘l’unione fa la forza’. Se è vero che un’alleanza militare è una proiezione di forza, può anche essere, per ragioni opposte, una proiezione della debolezza di alcune delle unità statali che la compongono. Ma si tratta di un mito o di una realtà?


Nell’ambito dello studio del realismo politico, il Dialogo dei melii, contenuto nella Guerra del Peloponneso di Tucidide tra Spartani e Ateniesi (431-404 a.C.), riporta una trattativa in cui gli Ateniesi cercavano di convincere i Melii a entrare nella loro alleanza militare, sapendo che si trattava di una colonia degli Spartani, che conducevano un’alleanza militare opposta a quella degli Ateniesi. La riluttanza dei Meli a unirsi all’alleanza degli Ateniesi rivela la lealtà dei primi nei confronti degli Spartani, un requisito essenziale per la coesione di qualsiasi alleanza.

Inoltre, rivela che la forza di un’alleanza consiste nella somma delle debolezze di ciascuna delle unità che la compongono. In questo caso, gli Ateniesi sapevano essere forti se visti nel loro insieme, così come gli Spartani. Tuttavia, a livello individuale, i Melii sapevano essere individualmente deboli  al di fuori di un’alleanza, così come gli Ateniesi o gli Spartani senza le rispettive alleanze antagoniste.

Questo dialogo mostra l’essenza e le complessità con cui vengono cuciti i patti di difesa collettiva e gli accordi militari, i loro miti e le loro realtà, che hanno segnato e segnano tuttora la storia delle società umane, in particolare, e la storia universale, in generale.

Senza menzionare le alleanze estinte che sono esistite tra il XVIII secolo e i primi decenni del XX secolo, importanti per i loro effetti sull’odierna società internazionale, esaminiamo, sinteticamente, il caso delle due ultime e più notevoli alleanze militari antagoniste formatesi tra il 1940-1950: la NATO e il Patto di Varsavia.

La NATO (1949) e il Patto di Varsavia (1955) sono emersi in un contesto di relazioni internazionali caratterizzato da relative divergenze ideologiche e geopolitiche, sebbene le due nazioni leader di ciascuna di esse (rispettivamente USA e URSS) fossero state convergenti nel combattere l’espansionismo militare e l’invasione del Terzo Reich tra il 1941 e il 1945. Tuttavia, il fatto di avere un nemico comune, il nazismo, non significò che nel periodo successivo al 1945 le due nazioni fossero unite in un’unica alleanza militare di difesa collettiva, in quanto entrambe erano nazioni imperiali, con zone di influenza rafforzate attraverso la firma di una serie di accordi, tra cui quello di Potsdam (agosto 1945), che decise il destino politico e militare della Germania post-hitleriana. Infatti, “Alla conferenza di Potsdam divenne chiaro che la fine della guerra significava anche la fine di una politica comune tra gli alleati nel conflitto e l’inizio di nuovi conflitti” (Fonte: Liberation Route Europe).

La forza di ciascuna di queste alleanze è data dalla loro composizione, dalle aree geografiche coinvolte, dalla somma delle potenze belliche e dal consolidamento di una visione d’insieme attorno alla percezione (reale o surreale) di una minaccia da parte del blocco antagonista. Mentre fino al 1955 la NATO era composta da 15 Stati membri (12 dei quali erano membri fondatori), con il 16° membro, la Spagna, integrato nel 1982, il Patto di Varsavia era composto da 8 Stati membri fino al 1968, quando l’Albania ha cessato di farne parte e, a meno di dati migliori, il patto ha continuato a essere composto da 7 membri fino alla sua disintegrazione nel 1991, così come la NATO non ha integrato nuovi Stati membri nella sua organizzazione fino al 1999, in seguito alla disintegrazione del Patto di Varsavia, con l’inclusione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, tutti ex membri del Patto di Varsavia.

Per la sua posizione geografica assoluta (che dal 1999 diventa relativa e malleabile), la NATO si trovava tra le masse terrestri e i corridoi insulari situati tra le due sponde dell’Atlantico settentrionale, il Mediterraneo, il Mar Nero, l’Adriatico e il Pacifico, mentre il Patto di Varsavia tra il Mar Baltico e il Pacifico settentrionale e orientale, compresi il Mar Nero, l’Adriatico e il Mar Caspio, ed entrambe le alleanze avevano anche una presenza nell’Artico.

In termini di potenza militare, i dati mostrano che nel 1987 le due alleanze militari rappresentavano: 1. in termini di contingenti (NATO: 5,3 milioni; Patto di Varsavia: 6,0 milioni); 2. in termini di divisioni ed equipaggiamenti (NATO: 170; Patto di Varsavia 295); 3. in termini di carri armati (NATO: 28.000; Patto di Varsavia 69.000); 4. in termini di aerei da combattimento e altri velivoli militari (NATO: 12.000; Patto di Varsavia 14.000); 5. in termini di sottomarini (NATO: 290; Patto di Varsavia 370); 6. di portaerei, elicotteri e navi da combattimento (NATO: 60; Patto di Varsavia 40); 7. e in termini di fregate e corvette (NATO: 450; Patto di Varsavia 300) (Fonte: NATO). Impiegando questi sette fattori come parametri per determinare la superiorità bellica tra le due alleanze, si scopre che, nel complesso, fino alla fine degli anni 80 il Patto di Varsavia era l’alleanza di difesa collettiva più imponente al mondo, mentre in termini relativi la NATO deteneva una superiorità sul blocco rivale in termini di portaerei, fregate e corvette.

Inoltre, considerando che i maggiori contribuenti di spese militari e costruttori di equipaggiamenti militari erano, salvo eccezioni, le due nazioni leader di ciascuna di queste due alleanze, allora, sulla base di questi dati e se considerati singolarmente, l’URSS sembrava avere una prevalenza bellica sugli Stati Uniti, a meno che i parametri di cui sopra non fossero completi.

Ed è qui che risiede la debolezza delle alleanze militari, se viste singolarmente. Infatti, che senso ha entrare in un’alleanza se, individualmente, uno Stato ha una potenza militare superiore a quella dell’alleanza o a quella delle unità più piccole che ne fanno parte?

Il post-crollo del Patto di Varsavia e dell’URSS non ha visto solo l’allargamento della NATO nello spazio fisico che fino ad allora era stato sotto l’influenza sovietica (come non sarebbe stato possibile altrimenti, dal momento che per l’Occidente non ci sono altri Stati europei o nordamericani da integrare, se così fosse, allora la NATO cambierebbe nome e raggio d’azione), ma anche il consolidamento di una visione d’insieme attorno alla percezione della minaccia (reale o surreale) dello Stato nemico, che è la Russia, principale erede dell’URSS.

In ogni caso, oggi, tre decenni dopo il crollo dell’URSS e dell’allargamento della NATO fino ai confini baltici (tranne Bielorussia e Ucraina) con la Russia, sempre in termini individuali, Mosca sembra aver “riconquistato” la sua storica supremazia militare sulla maggior parte degli Stati membri della NATO, tranne gli USA. Cioè, se in termini collettivi la NATO detiene oggi una superiorità militare assoluta sulla Russia, in termini individuali la Russia detiene una superiorità militare su ciascuna delle 29 unità statali che compongono l’alleanza, ad eccezione degli Stati Uniti, che sono superiori in termini di spesa militare (801 miliardi di dollari nel 2021) e di forze convenzionali rispetto alla Russia (65,9 miliardi di dollari nel 2021) (Fonte: SIPRI Fact Sheet), senza tuttavia soppiantare le forze nucleari di quest’ultimo, che continua a disporre di un numero maggiore di testate nucleari (6.500) rispetto agli Stati Uniti (6.185 (Fonte: Ufficio delle Nazioni Unite per il Disarmo). Si ritiene anche che la Russia abbia una superiorità nelle armi ipersoniche, che “descrivono qualsiasi velocità superiore a cinque volte la velocità del suono, che è di circa 760 miglia (1.220 chilometri) all’ora a livello del mare, il che significa che queste armi possono viaggiare ad almeno 3.800 miglia all’ora” (Fonte: The Washington Post).

Pertanto, le alleanze militari derivano dagli sforzi congiunti degli Stati membri al fine di affrontare eventuali debolezze individuali, ma allo stesso tempo garantire la loro sopravvivenza sulla base del principio della sicurezza collettiva. Tuttavia, mentre collettivamente può avere una maggiore potenza militare sia per l’autodifesa che per l’attacco, individualmente, come regola generale, ad eccezione dello Stato leader dell’alleanza, le altre unità statali che ne fanno parte possiedono una capacità militare relativa, che è sinonimo di debolezza se confrontata con lo Stato leader o con qualsiasi altro Stato potenza che non ne fa parte, descritto come Stato nemico.

In altre parole, se è vero che un’alleanza militare è una proiezione di forza, può anche, per ragioni opposte, essere una proiezione della debolezza di alcuni Stati che ne fanno parte e che altrimenti non ne farebbero parte affatto. O se lo facessero, sarebbero gli Stati guida dell’alleanza, poiché è la nazione più forte a guidarla, e non possono esistere due o più unità con la stessa proiezione di potenza militare della nazione guida, mentre lo Stato nemico tende ad essere superiore a ciascuna delle singole parti integranti, tranne lo Stato guida dell’alleanza, rispetto al quale possiede una parità di forza e di potere distruttivo reciproco. Questa posizione di reciproco riconoscimento della parità di potere è ciò che porta al cosiddetto Balance of Forces, che ha garantito la stabilità strategica del sistema internazionale durante la Guerra Fredda. L’equilibrio di potere, quando viene minato o quando gli Stati più grandi del sistema adottano la politic a di potenza, generalmente provoca instabilità e aumenta la percezione di insicurezza collettiva (la richiesta di adesione alla NATO da parte di Finlandia e Svezia ne è la prova), ed è quello che sta accadendo (vedi qui).

Insomma, se è vero che un’alleanza è sinonimo di forza, essa contiene anche delle debolezze al suo interno, che rendono la superiorità assoluta di un’alleanza un mito, se vista a livello individuale inerente alle parti con potere relativo rispetto agli Stati potenza sia all’interno che all’esterno dell’alleanza. Tuttavia, i miti non sono congetture dell’universo alternativo. Sono ideali che sottendono innumerevoli realtà, che danno corpo alle società umane, alle loro credenze e ai loro atti, sulla costante soglia tra soggettivismo e oggettivismo, cioè tra realtà congetturata e verità materializzata.

Issau Agostinho

 

 

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