La Gran Bretagna fuori dall’Unione europea

Il venerdì 24 giugno 2016, è sicuramente uno dei venerdì più conturbati della storia europea. Un vero e proprio evento senza precedenti ha scosso l’Europa. Con il 51,9% dei voti il Regno Unito ha scelto la Brexit dicendo addio all’Europa e trascinandosi con sé grandi incertezze e tanti dubbi. Quali prospettive future per il Regno Unito e per l’Unione Europea?


Vittoria o sconfitta del Regno Unito? È stata una notte lunga quella passata tra il 23 e il 24 giugno nel Regno Unito che ha visto prevalere le forze antieuropee sulle forze filoeuropee. Il popolo britannico chiamato alle urne per esprimersi sulla permanenza o meno del Regno Unito in Ue ha scelto di lasciare l’Europa con un risultato del SI alla Brexit del 51,9% contro il 48,1% NO, con un voto di scarto di poco più di un milione. Passa dunque la scelta di portare il Regno Unito fuori dall’Ue. Un risultato che senza dubbio spacca il Regno Unito stesso, la cui geografia del voto vede a larga maggioranza europeista l’Irlanda del Nord, la Scozia e Londra contro l’Inghilterra e il Galles a larga maggioranza antieuropeista. Il Regno Unito, quindi, si trova a dover fare i conti con una realtà ben più diversa e dura che ha visto riaccendere gli animi sia da parte della Scozia che ha scelto l’Ue in tutte e 32 le circoscrizioni, invocando così un nuovo referendum per l’indipendenza, sia l’Irlanda del Nord, il cui vicepremier Martin McGuinnes ha annunciato che “con la Brexit ci sono enormi conseguenze per l’intera isola dell’Irlanda che andrebbero contro le aspettative democratiche del popolo”, prospettando così l’indizione di un referendum per l’unificazione dell’Irlanda del Nord all’Irlanda.

Ma non è solo una questione geografica del voto; è anche e soprattutto una questione anagrafica che ha visto non solo lo scontro elettorale tra gli anziani con più di 65 anni contro la permanenza del Regno Unito dall’Ue e i più giovani contro la Brexit, ma soprattutto la vittoria del voto dei primi contro i secondi. In particolare, secondo i dati di YouGov, sarebbero stati proprio i più anziani a votare per la Brexit e a scegliere quindi per il futuro delle più giovani generazioni che avrebbero voluto rimanere in Ue, tant’è che il leader dei Liberal Democratic, Tim Farror, ha annunciato in un’intervista che i giovani “hanno votato con un ampio margine per restare, ma il loro voto è stato surclassato. Sono andati a votare per il loro futuro che gli è stato portato via.”

Le conseguenze politiche interne. La vittoria della Brexit ha visto prevalere il leader e fondatore dello UK Indipedence Party (Ukip) Nigel Farage, da sempre impegnato con le campagne antieuropeiste, sul leader David Cameron, il quale avendo proposto lui stesso il referendum per ripianare la crisi politica interna e soprattutto per neutralizzare l’Ukip, ha sortito l’effetto contrario e quasi come un boomerang ha finito per incentivare e scuotere il partito che con un’intensa campagna elettorale è riuscito a portare a casa la vittoria. Dopo la vittoria, il leader dell’Ukip ha dichiarato: “siamo finalmente liberi di iniziare a siglare i nostri accordi commerciali e i nostri rapporti con il resto del mondo. Ci lasciamo alle spalle un’unione politica che sta fallendo e ci siamo dati la possibilità di unirci al mondo in un’economia globale per il ventunesimo secolo”, mentre David Cameron annunciava le sue dimissioni dichiarando che non potrà essere lui a gestire il processo di uscita dall’Unione europea e che il paese deve essere guidato da una nuova leadership. È chiaro che la vittoria da parte di Ukip lascerà aperte nuove sfide al paese prospettandosi nel futuro prossimo una quasi probabile e possibile vittoria per la guida del paese.

Le conseguenze economiche interne. La definitiva uscita del Regno Unito dall’Ue potrebbe portare a conseguenze piuttosto forti non solo dal punto di vista politico ma anche dal punto di vista economico. Lo dimostrano il crollo della sterlina e i cali dei principali mercati finanziari esteri. In particolare dal punto di vista dell’economia interna il cancelliere dello scacchiere britannico, Osborne, ha annunciato che si prospetta una possibile manovra di 30 miliardi di sterline, mentre la Confindustria britannica teme la perdita di un milione di posti di lavoro e di quasi 100 miliardi di sterline di fatturato. Prospettive negative anche per il PIL, per il quale l’FMI stima un -5,6% entro il 2019, mentre per l’OCSE, secondo un recente studio, “un’uscita dell’UK dall’Ue colpirebbe immediatamente la fiducia e aumenterebbe l’incertezza. Ciò condurrebbe a un abbassamento del Pil del 3% entro il 2020, che equivale a un costo di 2.200 sterline l’anno per ogni famiglia. In sostanza, l’uscita dall’Ue equivarrebbe a una “tassa permanente” sulle famiglie inglesi “per le generazioni a venire”.

Secondo alcuni dati a livello europeo, per quanto riguarda gli interscambi tra il Regno Unito e l’Ue, la metà degli scambi commerciali avvenivano con l’Europa in misura pari al 49%, dando lavoro a più di tre milioni di persone, costituendo circa il 13% del PIL britannico. Dunque con la fuoriuscita dalla UE il paese avrà importanti conseguenze tra le quali meno esportazioni e importazioni più care, con conseguente calo occupazionale e aumento dei costi per le famiglie ed una possibile fuga delle banche, società finanziare e aziende straniere.

C’è sempre una prima volta. L’uscita di un paese membro dall’Ue è previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, finora mai messo in pratica. In virtù di suddetto articolo si prevede la possibilità per ogni paese membro di recedere dall’Ue notificando tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese. Tale accordo è concluso a nome dell’Unione europea (Ue) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo e i trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso, lasciando al Consiglio la facoltà di decidere di prolungare tale termine. Dal momento in cui si presenta l’istanza di recesso da parte del Regno Unito inizierà a decorrere il termine di due anni per poter negoziare l’uscita, e nello stesso tempo ha assicurato il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, che non ci sarà un vuoto legale poiché fino all’uscita formale del Regno Unito la legislazione europea continuerà ad applicarsi. Dunque nel frattempo il Regno Unito continuerà ad essere membro a tutti gli effetti e pertanto il suo voto continuerà ad essere vincolante per tutte le questioni che non riguardano la Brexit.

In conclusione, a fronte di tante incertezze e tanti dubbi sul futuro del Regno Unito e dell’Ue, c’è una sola certezza: il referendum sulla Brexit ha rappresentato un momento di democrazia diretta in cui i cittadini britannici hanno deciso consapevolmente di uscire dall’Unione Europea e di cambiare il destino di un paese che da ora in avanti deve contare solo su stesso.

Noemi Pasquarelli

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