La resa dei conti in Europa

La Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza preparata dal governo italiano preoccupa Bruxelles e i mercati. La spesa in deficit prevista dal governo per compiere le promesse elettorali abbassa la fiducia dei mercati sulla capacità italiana di rispettare i vincoli europei di bilancio. Lo scontro in corso potrebbe essere uno dei punti chiave della campagna elettorale per le elezioni europee del 2019.


   La manovra economica prevista dal governo italiano ha causato forti ripercussioni nel mondo finanziario e nelle istituzioni europee.

   Il solo annuncio delle intenzioni del governo giallo-verde è bastato a fare schizzare in alto lo spread e a far ipotizzare un declassamento del rating sui titoli di stato italiani con conseguenti maggiori difficoltà da parte del governo italiano a trovare finanziamenti attraverso i mercati.

   All’iniziale progetto il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha dovuto apportare alcune modifiche per rendere più morbida la reazione di Bruxelles e per poter intavolare un dialogo sulle intenzioni italiane.
   La manovra espansiva ed in un certo senso redistributiva che vorrebbe approvare il governo italiano è in contrasto con il percorso di riforme che da tempo ormai le istituzioni comunitarie chiedono all’Italia per abbassare il suo enorme debito pubblico che attualmente supera il 130% del rapporto deficit/Pil. Tuttavia, il governo sembra fermo nel mantenere le sue principali promesse elettorali e cioè l’introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, la riforma del sistema pensionistico con la revisione della legge Fornero e l’introduzione della Flat Tax.

   Tutti obiettivi ambiziosi soprattutto in un momento delicato per l’economia nazionale e internazionale che da poco tempo è uscita “debolmente” dalla crisi iniziata nel 2008. La crescita è ritornata ma si è attestata a livelli abbastanza contenuti (la crescita prevista per l’Eurozona per il 2019 è al 2%, quella italiana al 1,1%), inoltre i benefici di questa lieve crescita non vengono equamente distribuiti ma rimangono a vantaggio di grosse aziende e grossi capitali aumentando la disparità sociale e il progressivo assottigliamento della “classe media”.

   La crisi economica e le politiche adottate dalle istituzioni europee per contrastarla hanno generato un diffuso malcontento tra i popoli europei che progressivamente hanno orientato il loro voto verso partiti “antisistema” spesso appartenenti alla destra “sovranista”. Il governo italiano targato Lega-5 Stelle è una perfetta sintesi di questa tendenza preoccupante per gli europeisti oltranzisti in vista delle elezioni europee del Maggio 2019.
   L’asse Macron-Merkel sembra reggere bene al momento, ma un eventuale rafforzamento del Front National (da poco rinominatosi Rassemblement National) di Marine Le Pen in Francia o un eccessivo indebolimento dei partiti centristi in Germania, potrebbero cambiare le prospettive europee in futuro.
   L’Unione Europea dunque continua a navigare in acque agitate. Dopo aver incassato più o meno bene il colpo ricevuto dal referendum britannico, che ha decretato l’uscita (che avverrà ufficialmente il 29 Marzo 2019) del Regno Unito dall’Unione, deve ora affrontare il rinascere nei paesi ad essa appartenenti di governi di destra “sovranisti” che vogliono rimettere in discussione il percorso integrativo europeo.
   La natura composita dell’Unione fa sì che le critiche al suo operato provengano da più parti e con diversi temi. Da una parte alcuni governi come quello ungherese di Victor Orban contrastano ferocemente l’Unione sulle politiche migratorie con il plauso di parte del governo italiano legata alla Lega del Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini. Dall’altra le critiche vengono mosse contro le politiche di “austerity” volute principalmente dal governo tedesco tese a rispettare il patto di stabilità e crescita che fissa rigidi paletti alla possibilità degli stati di indebitarsi per sostenere l’economia.

   A livello teorico questa postura economica da parte delle istituzioni europee è sostenuta dagli economisti neoclassici come Milton Friedman principale esponente della famosa “Scuola di Chicago” che tanto influenzò l’operato dei governi Thatcher e Reagan negli anni ottanta. Il modo in cui è costruito il modus operandi della BCE è basato appunto su teorie neoclassiche per cui lo stato deve interferire poco nell’economia e la banca centrale deve evitare manovre espansive (cioè stampare denaro) perché tali manovre provocherebbero soltanto un aumento della pressione inflazionistica. 

   Le istituzioni europee sembrano dunque voler appositamente ignorare qualunque contributo teorico proveniente dalla scuola keynesiana, che al contrario sosteneva la necessità di un iniziale indebitamento pubblico per rilanciare investimenti, occupazione e crescita.

   Il motivo del diniego istituzionale comunitario alle teorie keynesiane, che tanto successo hanno riscosso dopo la “Grande Crisi” del 1929, va addebitato ai controversi risultati delle politiche economiche che i paesi europei intrapresero nel secondo dopoguerra fino agli anni settanta.
   La teoria keynesiana ha funzionato abbastanza bene fino al momento in cui, a causa di eventi politici in medio oriente, il prezzo del petrolio non aumentò drasticamente. La prima crisi petrolifera, originata dalla reazione dei paesi arabi alla vittoria israeliana nella guerra dello Yom Kippur del 1973 fu il primo momento di indebolimento delle teorie keynesiane, la seconda crisi petrolifera originata dalla rivoluzione komeinista in Iran nel 1979 segnò il definitivo abbandono della teoria keynesiana nelle politiche economiche di molti stati.

   I paesi europei estremamente dipendenti dalle fonti energetiche esterne non riuscivano a sostenere il debito accumulato dovendo pagare un prezzo sempre più alto per acquistare il greggio, inoltre a causa di una diffusa malversazione delle risorse (come ad esempio nel caso italiano) il debito pubblico era spesso usato per manovre redistributive che avevano più un tornaconto elettorale piuttosto che un tornaconto economico che favorisse investimenti e occupazione. Da queste due crisi dunque il keynesismo esce sconfitto e i successivi passi di integrazione mercantile e finanziaria in Europa vennero intrapresi seguendo criteri neoclassici.

   La creazione dell’unione monetaria in alcuni dell’Unione Europea ha sicuramente favorito un ulteriore avvicinamento delle economie dei paesi europei che hanno aderito all’Eurozona, ma alcune problematiche sono rimaste aperte, come ad esempio il fatto che alla moneta unica europea non è stato affiancato un titolo di stato unico europeo. Gli stati dell’Eurozona continuano ad emettere titoli di stato differenti tra loro con rendimenti diversi a seconda della solidità dell’economia, per cui paesi con economie più deboli per finanziarsi sui mercati sono costretti ad emettere titoli con più alti tassi di rendimento ma con più alto rischio di insolvibilità. A lungo andare questo meccanismo può portare (in realtà ha già portato) a grossi squilibri tra le economie dell’Eurozona.

   Il governo italiano con questa manovra finanziaria spera di poter aumentare inizialmente il debito per poi ricompensarlo attraverso una maggiore crescita in futuro, tuttavia le preoccupazioni comunitarie sono giustificate dal fatto che l’economia mondiale non è in una fase ottimale e potrebbe facilmente rallentare, soprattutto a causa delle guerre commerciali volute dagli Stati Uniti del presidente Trump nei confronti di UE e Cina.

   Il rischio di aumentare il debito pubblico senza avere un corrispondente aumento della crescita è concreto, ma la quasi sicura bocciatura da parte delle istituzioni comunitarie delle intenzioni italiane potrebbe diventare un grande strumento di propaganda elettorale per i partiti di governo che addosserebbero all’Unione le responsabilità della mancata realizzazione delle promesse elettorali.
L’Italia comunque non può inimicarsi troppo i partner europei considerando il fatto che il mandato dell’italiano Mario Draghi come Presidente della BCE è in scadenza, che il prossimo presidente potrebbe non essere accomodante con le richieste italiane e che un uscita dell’Italia dall’Euro al momento sembra davvero un cammino improponibile.

   Il governo italiano non ha finora formalizzato alcuna proposta di modifica delle regole europee o di creazione di un titolo unico europeo (il cosiddetto EUROBOND finora sempre osteggiato dal governo tedesco) di fatto confermando il fatto che per la prima volta nella storia della Seconda Repubblica l’Italia è governata da un esecutivo che mette in dubbio il percorso di integrazione europea.
   Il problema di fondo dell’Unione Europea sembra dunque essere sempre lo stesso. Nonostante i grandi passi compiuti verso l’integrazione nell’ultimo mezzo secolo gli interessi strategici degli stati ad essa appartenenti rimangono differenti e a volte contrastanti. Una politica estera comune è ben lontana dall’essere realizzata.

   Il contrasto italo-francese sulla questione libica, i dissidi sulle sanzioni alla Russia e sulle priorità di azione della NATO tra Francia e Germania sono solo alcuni degli esempi che si possono fare per rendere l’idea di come in fondo in fondo ogni stato tenda ad anteporre i propri interessi a quelli dell’Unione come congiunto.
Il risorgere del sovranismo, dopo mezzo secolo di tendenza globalista soprattutto dal punto di vista commerciale, rischia seriamente di compromettere il cammino europeo di integrazione, ma chi possa trarre vantaggio da questo fatto non è possibile saperlo per il momento. Sicuramente l’Unione Europea ha tanti partner quanto avversari: USA, Cina, Russia e Latino America sono allo stesso tempo partner e concorrenti soprattutto per quanto riguarda i mercati dei paesi africani, ma il vero pericolo per l’Unione rimangono i dissidi interni, e se per quanto riguarda la Grecia le istituzioni comunitarie sono state inflessibili nell’imporre le proprie ricette economiche, nel caso dell’Italia la situazione è un po’ più delicata semplicemente per il fatto che l’Italia rappresenta la terza economia dell’Unione, uno dei paesi fondatori del percorso integrativo europeo, nonché un mediatore fondamentale per il dialogo euro-africano soprattutto per quanto riguarda i paesi della sponda sud del Mediterraneo.

   Il braccio di ferro potrà durare vari mesi in attesa delle elezioni che rinnoveranno il Parlamento Europeo e che indicheranno il futuro percorso politico europeo. Nel frattempo, non si può far altro che osservare il decorrere degli eventi cercando di imparare dagli errori del passato. A questo proposito sembrano estremamente attuali i versi del poeta siciliano Ignazio Buttitta: “chi cammina curvato storce la schiena, se è un popolo storce la storia”.

Giuseppe Difrancesco

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