Breve prospettiva sulla politica africana nel 2017

Nell’ambito dell’analisi sull’orientamento della politica estera degli stati nell’era Trump, la direttrice del Comitato della Redazione della rivista IlGeopolitico, la dott.ssa Noemi Pasquarelli, ha intervistato il direttore di questa testata digitale per presentarci la sua visione sul tema in riferimento. Di seguito una nota riassuntiva del dialogo instaurato con il direttore sull’Africa.


  1. Politica africana

Noemi Pasquarelli (N. P.): Direttore, come caratterizza la situazione politica ed internazionale africana?

Issau Agostinho (I. A.): L’Africa in generale e, in modo particolare, l’Africa subsahariana continua ad avere vari problemi e sfide che, da un lato, costituiscono una minaccia alla sicurezza e alla prosperità degli africani ma, dall’altro, un’opportunità di cooperazione interafricana ed internazionale con lo scopo di garantire al continente “la pace perpetua”. Quali sono i problemi e le sfide a cui mi riferisco?

l’Africa subsahariana continua ad avere vari problemi e sfide…

…pensiamo alla questione delle ineguaglianze e povertà diffuse,

da cui derivano naturalmente i fenomeni di immigrazione illegale e

fuga dei cervelli dall’Africa all’Occidente ma anche all’Oriente”

N.P.: Infatti, che problemi e quali sfide sono questi?

I.A.: Bene, i problemi africani sono innumerevoli e storici, ad esempio, pensiamo alla questione delle ineguaglianze e povertà diffuse, da cui derivano naturalmente i fenomeni di immigrazione illegale e fuga dei cervelli dall’Africa all’Occidente ma anche all’Oriente. Secondo dati, dall’Africa sono partiti nell’anno 2016 più di 200 mila persone in fuga da questi problemi e, se il trend si manterrà, in 5 anni l’Africa perderà più di un milione della sua manodopera indispensabile all’adeguato funzionamento economico delle società africane, ciò mentre i dati dei cervelli in fuga dall’Africa crescono con l’aumentare dei livelli dell’insicurezza e della mancanza delle libertà accademiche e del sostegno alle attività scientifiche dei ricercatori africani.

Ci sono anche problemi di riflussi nei processi democratici africani; pensiamo, ad esempio, ai referendum in Congo e in Ruanda, che permetteranno agli attuali Presidenti di mantenersi in carica a prescindere dalla fine dei loro mandati, ed alla partecipazione politica degli africani in questi processi democratici che è molto spesso scoraggiata dall’entourage politica in carica. Potete bene guardare l’Indice Ibrahim di Buon Governance e vedrete che nel 2015, ad esempio, solo il Costa d’Avorio ha avuto una valutazione positiva, mentre invece per Arch Puddington e Tyler Roylance «Democratic setbacks and violence triggered by African leaders’ manipulation of term limits were offset by successful elections and peaceful transfers of power in key countries during 2015», ovverosia il retrocesso nei processi democratici africani sarebbero dovuti alla resistenza dell’abbandono della carica dei presidenti a fine dei loro mandati.

A livello dell’integrazione continentale si registra il fallimento di programmi attesi al rilanciamento dell’integrazione nel continente, com’è il NEPAD che adesso si è trasformato nell’agenda 2063, così come l’incapacità dell’Unione Africana di adottare e attuare una politica comune in materia di controllo dei flussi migratori dei giovani africani, di milioni di giovani africani, di risoluzione di conflitti interni in Congo Democratico, in Burundi, in Libia oltre alla Somalia, ormai un vero e proprio stato fallito. Insomma tanti problemi socio-politici che pare non avere fine.

N.P.: E quando hai parlato di sfide a cosa ti riferivi in particolare?

I.A.: Le sfide, cara direttrice, sono proprio questi problemi che devono e vanno risolti impiegando le risorse locali e esterne…

N.P.:   …in quale modo, che risorse sono? Si pensa che molti dei conflitti africani derivano proprio dalle risorse naturali africane?

I.A.: …Le risorse sono fondamentalmente gli africani stessi. L’Uomo africano deve consolidare la coscienza della sua stessa esistenza; ovvero sia, la prima condizione della risoluzione dei problemi è essere cosciente e consapevole che esistano queste situazioni problematiche che vanno affrontate insieme, a partire da una prospettiva endogena, anche come un atto dell’emancipazione della propria capacità di autogestione di crisi e di sollevamento naturale dalle difficoltà. Dunque, solo riconoscendo che ci sono problemi e sapendo la natura di questi problemi (politici, economici, sociali, internazionali e di una continuata dipendenza, in certi casi, dall’esterno) l’Africa troverà modelli di vita sociale e di prosperità collettiva.

Le risorse esterne invece, sono naturalmente la messe in essere di accordi di cooperazione di tipo win-win tra l’Africa e il resto del mondo, senza mai condizionare la sua sovranità nemmeno mettere in ginocchio il futuro delle generazioni degli africani. Cioè, le generazioni degli africani odierne hanno il compito morale e categorico di garantire il miglioramento comunque dello status delle sovranità e di “libertà” che il continente conosce sin dagli anni sessanta. E questa sfida sarà affrontata insieme coi partner esterni che oggi come in passato sono stati determinanti per portare alla fine la lotta per l’emancipazione africana, senza perdere di vista che il compito e l’interesse maggiori devono naturalmente partire dagli africani stessi.

“L’Uomo africano deve consolidare la coscienza della sua stessa esistenza;

ovvero sia, la prima condizione della risoluzione dei problemi

è essere cosciente e consapevole che esistano queste situazioni problematiche

 che vanno affrontate insieme, a partire da una prospettiva endogena”

N.P.: Come l’amministrazione Trump potrà intervenire in Africa. Gli africani hanno buone aspettative da questa nuova presidenza statunitense?

Su questo vorrei fare due o tre note. La prima, l’intervento di qualsiasi Paese deve avvenire per mezzo di esistente rapporto bilaterale o multilaterale. In tale caso, gli Stati Uniti avranno gli interessi in Africa, ma gli Africani avranno anche interessi negli Stati Uniti, sia si tratte all’interno dell’AGOA, che nell’ambito di promozione della pace e sicurezza e soddisfacente atmosfera di investimenti tra i partner.

La seconda nota, invece, l’Africa non è un paese, ma un continente. E ciò significa che nonostante esista un ufficio specifico nel dipartimento di stato che si occupa dell’Africa, gli Stati Uniti devono complessivamente avere linee di intervento che si adeguino a ciascuna realtà di ognuno dei 54 stati africani. Ad esempio, la linea di intervento e di cooperazione bilaterale tra gli Stati Uniti e l’Egitto non sarà la stessa in Nigeria. Cioè, un continente, una politica africana, ma varie sfumature adatte alla realtà di ciascuno stato.

“gli Stati Uniti devono complessivamente avere linee di intervento

che si adeguino a ciascuna realtà di ognuno dei 54 stati africani”

Ed infine, la nuova amministrazione non pare avere una linea chiara non solo per quanto riguarda la foreign policy per l’Africa ma anche verso altri paesi e altre tematiche che preoccupano la società internazionale: dalla cooperazione con la Russia agli accordi di Parigi del 2016 sul controllo del surriscaldamento globale. Tuttavia, l’Africa, come dicevo prima, è un problema africano che va risolto per gli africani. Credo che l’era in cui l’Africa rimaneva immobile in attesa di un salvatore debba finire e sta raggiungendo la fine. Oggi in Africa ci sono esempi di Paesi che hanno dato mostra di volere seguire la strada da soli, senza grande interferenze straniere che in molti casi la rendono paralitica, però costruendosi cooperazione di tipo win-win con tutti gli stati del mondo, Stati Uniti e Cina compresi.

“Oggi in Africa ci sono esempi di Paesi che hanno dato mostra

di volere seguire la strada da soli, senza grande interferenze straniere

che in molti casi la rendono paralitica, però costruendosi cooperazione di tipo win-win

con tutti gli stati del mondo, Stati Uniti e Cina compresi”

Dunque l’amministrazione Trump non ha dato finora nessuna dimostrazione su come cucirà la sua politica estera nei confronti dell’Africa. Tuttavia, mi chiederei se l’Africa è piuttosto pronta, se ha una voce comune o se ciascuno degli stati africani ha elaborato una sua agenda e essere pronti per rispondere alla visione di questa amministrazione quando ci sarà…

N.P.: E ce n’è già?

I.A.: Credo ci debba essere, anche come continuità degli interessi stessi di entrambi i partner: l’AGOA però potrebbe essere a rischio, se prendiamo in conto che l’attuale presidente ha come agenda rifare oppure fare uscire gli Stati Uniti dagli accordi commerciali quali il NAFTA e il TPP (negoziato da Obama però mai approvato dal Congresso a maggioranza repubblicana). Detto ciò, anche se la percentuale dell’export africana per gli Stati Uniti, nell’ambito dell’AGOA non è espressiva, dovrebbe preoccupare gli stati africani beneficiari, così come dovrebbe preoccupare l’Unione Africana che cittadini di certi stati membri dell’organizzazione, quali il Sudan e la Somalia o la Libia non potranno più recarsi agli Stati Uniti, quando l’organizzazione africana vuole mettere in essere un passaporto africano che permetta ai cittadini del continente una maggiore mobilità all’interno degli stati membri e all’estero.

 

N.P.: In conclusione, quali prospettive politiche africane per 2017?

I.A.: Sarà un’Africa che registrerà un basso livello di crescita economico, forse sotto il 2%, soprattutto se le economie supportate dal greggio continueranno ad essere vittime della congiuntura internazionale.

In Libia si verificheranno tentativi di formazione di governi di unità e di stabilizzazione, grazie in parte agli sforzi russi, mentre il regno del Marocco proseguirà il suo riavvicinamento con l’Unione Africana, anche se il dossier Sahara Occidentale poi si rivelerà insostenibile e potrà sostare questi tentativi. In Congo Kinshasa il presidente Kabila sarà forzato a lasciare la carica anche in funzione della transizione politica in Angola, cioè, se il presidente angolano dovesse lasciare il potere nel 2017, Kabila potrà perdere un grande alleato e trovarsi circondato e costretto a lasciare la carica anche per forza degli accordi di dicembre 2017. Ancora sull’Angola, se elezioni generali di quest’anno saranno trasparenti e regolari, le autorità angolane potranno meritare un apprezzamento nell’indice Ibrahim. Se il Presidente dos Santos lasciasse la vita attiva potrà addirittura essere uno dei papabili al premio Ibrahim, come successo a Joaquim Chissano nel 2007. Ma il corno di Africa sarà ancora la cornice dell’instabilità politica in Africa, ciò mentre alcuni stati potranno registrare incoraggianti livelli di stabilità politica e di sicurezza, quali Gambia, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana.

Dott. Issau Agostinho

 

 

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