Turchia: golpe fallito, i numeri e le reazioni occidentali

Il tentativo di un colpo di stato nella notte tra il 15 e il 16 luglio rappresenta un nuovo capitolo nella storia del paese. La situazione pare tuttora incerta, con Erdogan che continua la mano forte dell’epurazione nei settori chiavi della società turca. I numeri delle persone prese in custodia, e licenziamenti, dimostrano una Turchia che vuole cambiare lo status di cose, ma per le loro reazioni, le autorità politiche e di sicurezza e diplomazia occidentali non ci stanno, e chiedono prudenza a Erdogan.


L’esercito turco, il secondo più grande al mondo nell’ambito della NATO, la notte tra il 15 e il 16 luglio ha messo in atto un golpe per rovesciare il presidente RecepTayyipErdogan e prendere il potere nel paese.

Il rapporto tra il governo guidato da Erdogan, leader del partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), e l’esercito turco a cui la costituzione affida il ruolo di garante ultimo della laicità dello Stato, è sin dall’inizio della presidenza molto complesso, poiché le forze militari turche si ispirano agli ideali laici di Mustafa Kemal Atatürk che fu il fondatore della Repubblica di Turchia che si oppose alle ideologie islamiste propagandate attualmente dall’AKP.

Durante la sua notte più lunga la Turchia si risveglia ancora nelle mani di Recep Tayyip Erdogan, il quale tornato al comando del paese, dopo aver misteriosamente atteso il corso degli eventi in volo, ha avviato una purga e sin da subito minacciato la reintroduzione della pena di morte definitivamente abolita nel 2004 da un suo governo.

Erdogan ha sin da subito accusato organizzatore del fallito golpe il suo nemico numero uno Fethullah Gulen, che per anni è stato al fianco del presidente turco e che ora si trova in esilio negli Stato Uniti dal 1999 ed è incluso dalla Turchia nella lista dei terroristi più pericolosi, mentre Gulen nega ogni accusa e al contrario ha suggerito l’ipotesi che l’ideatore del fallito golpe possa essere stato lo stesso presidente.

La Turchia ha subito avanzato agli Stati Uniti la richiesta di estradizione dell’imam Fethullah Gulen, e il premier turco Binali Yldirim riferendosi agli Stati Uniti ha dichiarato: «Non riesco ad immaginare un Paese che possa sostenere e ospitare  questo uomo. Un Paese che lo sostenga non è amico della Turchia. Sarebbe persino un atto ostile nei nostri confronti», mentre il segretario di stato degli Stati Uniti John Kerry parlando in Lussemburgo ha detto di non aver ricevuto una domanda formale per la consegna di Gulen ed ha chiarito: «invitiamo il governo turco, come facciamo sempre, a presentarci prove legittime che rispettino i nostri standard. Gli Stati Uniti le analizzeranno e le giudicheranno in maniera appropriata».

Questo adesso è un nodo centrale nelle relazioni tra i due paesi, Washington dice di essere disposta a discutere l’estradizione di Gulen se Ankara fornirà le prove che ha organizzato il golpe. Se però non saranno dimostrate le colpe di Gulen gli USA non saranno disposti a facilitare la repressione e la vendetta di Erdogan.

Da venerdì 15 luglio aumentano i numeri del fallito golpe di stato, oltre 300 morti, 104 golpisti uccisi, almeno 1490 persone ferite, 15846 sono state le persone arrestate ed inoltre il pugno di ferro di Erdogan colpisce anche la cultura, un’epurazione che potrebbe portare allo smantellamento della costituzione laica voluta da Kemal Atatürk, infatti dopo il golpe fallito sono stati licenziati oltre 15000 dipendenti del Ministero dell’Educazione, 21000 insegnanti di scuole private hanno perso la licenza ed tutti i 1577 rettori delle università sono stati invitati a rassegnare le dimissioni. 

Ma la purga è solo l’ultima di una serie di iniziative che negli ultimi anni hanno favorito la penetrazione dell’Islam nella società turca.

Il pugno di ferro di Erdogan desta preoccupazioni all’interno della comunità internazionale che reagisce soprattutto dopo la concreta possibilità che in Turchia torni la pena di morte, John Kerry ha dichiarato che anche se lo status della Turchia nella Nato non è in discussione, la NATO vigilerà sul comportamento democratico della Turchia. Però il segretario generale dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg pur ricordando che Ankara sia un alleato valido ha dichiarato che non ci può essere spazio per golpe militari negli Stati membri della NATO e ritiene essenziale assicurare il pieno rispetto della democrazia, delle sue istituzioni, dell’ordine costituzionale, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali.

Libertà e stato di diritto che sono messe a rischio perché il presidente turco Erdogan ha spiegato che approverà la reintroduzione della pena di morte per i golpisti se la misura verrà varata dal parlamento. A schierarsi nettamente contro l’ipotesi della pena di morte c’è Angela Merkel, la quale ha ribadito che è assolutamente incompatibile con l’essere stato membro della UE e ha definito l’ondata di arresti di militari di poliziotti e magistrati come una causa di grande preoccupazione per la Germania. Quindi l’eventuale reintroduzione della pena di morte significherebbe la fine delle trattative per l’ingresso nell’Unione Europea.

Lo stesso concetto è stato ribadito da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’UE, la quale ha dichiarato che l’UE considera tuttora la Turchia un ottimo partner, ma essendo la situazione in questo momento particolarmente preoccupante, il primo pensiero dell’Unione Europea è quello di facilitare il ritorno al rispetto dello stato di diritto.

Potrebbe essere l’entrata della Turchia nell’Unione Europea il modo migliore per assicurare che la Turchia resti democratica e che i diritti e le libertà fondamentali siano rispettati?

Nancy Pasquarelli

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